Qualcuno ha ucciso il generale
- Autore: Matteo Collura
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: TEA
- Anno di pubblicazione: 2008
Viva Santa Rosalia!… Viva la repubblica!… Viva Palermo!… Viva il generale Corrao!...
Così gridavano i rivoltosi la mattina del 17 settembre 1866 dando l’assalto alle prigioni dell’Ucciardone. Inizia così il romanzo di Matteo Collura dal titolo Qualcuno ha ucciso il generale (TEA, Milano, 2008), la cui epigrafe, desunta dal romanzo di Gabriel Garcia Márquez sull’epopea di Simón Bolivar Il generale nel suo labirinto, recita:
Questo libro non sarebbe nato senza l’aiuto di quanti hanno esplorato gli stessi territori prima di me, nel corso di un secolo e mezzo, rendendomi più facile la temerarietà letteraria di raccontare una vita con una documentazione tirannica, senza rinunciare alle leggi illecite del romanzo.
Anticipa il contenuto ogni altra epigrafe di ciascun capitoletto, tra cui un breve brano di Sciascia, desunto dal romanzo I pugnalatori. Una domanda suscita la curiosità del lettore: “Chi era il generale Corrao?”, avvolto dal silenzio dei libri di Storia?
Alla scarsità dei documenti Collura supplisce con l’esuberanza dell’immaginazione, e fa venire in mente ciò che Sciascia aveva scritto ne La scomparsa di Majorana: “racconto misto di storia e d’invenzione”.
Non a caso l’epigrafe del secondo capitolo “LA MUMMIA”, ripresa da Paul Valéry, verte sulla domanda relativa all’intromissione di uno scrittore e della sua parola. Sicché, la storia, nella scrittura di Collura, si intreccia con la letteratura che supplisce all’insufficiente documentazione con l’esito anche di uno spaccato sulla condizione della Sicilia irretita nelle opportunistiche manovre parlamentari di Crispi e nell’asfissiante burocrazia piemontese che aveva portato l’imposizione di nuove tasse, nonché la leva militare obbligatoria. Andavano quei rivoltosi a liberare Giuseppe Badia che a Milazzo e al Volturno aveva combattuto fianco a fianco col generale, nominato tale da Garibaldi a conclusione della campagna in Sicilia. Peraltro, insieme erano stati esuli a Malta dopo le fallite speranze del Quarantotto.
Inutile a ogni modo l’assalto alle carceri. Collura si mostra abile nel ricostruire la fisionomia di Giovanni Corrao attraverso l’analisi dettagliata di fotografie. Nel ritratto, dipinto a olio, che si trova a Palermo nel piccolo museo risorgimentale della Società Siciliana per la Storia Patria, questi appare un Garibaldi bruno:
ma dallo sguardo più ombroso, istintivamente bellicoso e, se ne deduce, profondamente offeso.
Conservate le sue spoglie mummificate ai Cappuccini, furono trasportate probabilmente la mattina del 21 maggio 1960 nel chiostro della chiesa di San Domenico per esservi tumulate. Melodrammatica, spiega Collura, la commemorazione che lo riabilitava, essendo stato calunniato in vita. Apprendiamo che novantasette anni prima – era il pomeriggio del 3 agosto 1863 – il generale Corrao era caduto fulminato da ignoti in un agguato.
Chi l’aveva ucciso? Tanti gli interrogativi su cui lo scrittore vuole dare una risposta attraverso un’indagine serrata che ha il fascino dell’affabulazione. Un romanzo inchiesta potrebbe allora definirsi questo suo scritto mandato avanti nel risorgimento siciliano a partire dalla morte del conte di Capaci, Rosolino Pilo, colui che “percorse i Mille”, con cui Corrao, anch’egli precursore dei Mille, aveva navigato su una tartana viareggina da Genova a Messina. Il suo migliore amico e compagno d’armi era morto fra le sue braccia, ma per infamante invidia si disse che per rivalità era stato lui ad ucciderlo. Giovanni Corrao, dunque: “capopopolo capace di mobilitare migliaia di uomini e di farli combattere in nome degli ideali garibaldini”, “ fedele a un suo radicale quanto irrealizzabile ideale di repubblica” che “davvero unificasse il Paese nella giustizia e nella libertà”. Le numerose digressioni sono funzionali a delineare la sua avventurosa personalità di combattente che capeggiava “contadini coriacei”, il cui esclusivo bisogno era la fame di terre:
Avevano aderito a quella segreta mobilitazione per dar sfogo ai loro antichi rancori, con la speranza di abbattere un servaggio che li umiliava...
Con lieve stile cronachistico che ha molto di sequenze filmiche d’avventura, Collura ricostruisce gli eventi che portarono alla liberazione di Palermo dai Borboni.
Da qui l’incontro di Corrao con don Francesco Crispi e con Garibaldi che l’aveva promosso generale sul campo per l’eroico comportamento nella battaglia di Milazzo. Anche l’incontro con Bixio è coinvolgente. Con lui si congratula l’ufficiale ligure per il valore mostrato dai siciliani e con un dire autoassolutorio accenna ai fatti di Bronte: sentiva di essere stato facile preda dei possidenti, di essere stato usato come inconsapevole strumento da furbe canaglie ossequiate come galantuomini. Corrao manifesta la sua disillusione con amare parole:
Il Plebiscito per l’annessione al Piemonte del Regno delle due Sicilie, converrete, non è proprio quello che voi e io ci aspettavamo dalla rivoluzione.
La narrazione, oltre alla storia ignota di Giovanni Corrao “generale dei picciotti”, restituisce l’immagine del Risorgimento tradito e delle speranze deluse:
Era ormai chiaro che, secondo le indicazioni del governo di Torino, la spedizione garibaldina in Sicilia, in Calabria e nel Napoletano avrebbe dovuto provocare soltanto un cambiamento politico, senza alterare gli equilibri sociali.
Aveva vinto la ragion di stato ad Aspromonte, dove le truppe garibaldine si erano scontrate con l’esercito sabaudo: una battaglia fratricida che avrebbe pesato sul destino del Paese. Del resto, dopo la disfatta, gli aveva detto il superiore di un monastero sull’Aspromonte (il santuario della Madonna dei Polsi dove la gente andava in processione):
Garibaldi andava fermato, infatti, non eliminato […] E sapete perché? Perché di lui ci sarà ancora bisogno […] Una nazione ha bisogno di eroi per essere credibile.
Il ritiro di Garibaldi a Caprera avviene alla vigilia dell’assassinio di Corrao, tornato rassegnatamente in Sicilia dopo avere attraversato boschi e valloni d’Aspromonte per andare incontro al suo feroce destino. Collura, raccontando lo svolgersi dei fatti in modo partecipativo, mostra una notevole, coinvolgente inventività.
Siamo nel clima torbido e repressivo tra l’avvenuta unità d’Italia e il perduto dominio borbonico di cui aveva scritto Sciascia ne I pugnalatori in cui si parla di una cospirazione contro lo Stato sabaudo, appena costituito, con il progetto di un possibile ritorno ai Borboni. Se quel Giuseppe Badia aveva compreso il disegno della restaurazione borbonica, Corrao, sorvegliatissimo dalla polizia sabauda, continuava a tenere contatti con i cospiratori:
E a Palermo, l’untore non poteva essere che lui
La ricostruzione letteraria del suo assassinio è toccante. Chi era stato il carnefice di questo combattente? Quali i fatti che seguirono al suo annientamento? Entrando nei misteri del risorgimento, lo scrittore ha in sostanza voluto dire che ancora oggi si assiste all’insabbiamento della verità, tenuta nascosta.
Ed egli stesso nel capitolo conclusivo, “PANTOMIMA IN GIARDINO”, a spiegare i motivi della sua ricerca:
che riguarda sì l’avventura terrena di un uomo straordinario, ma soprattutto le vicende storiche di una regione da sempre tenuta orfana della giustizia...
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