Quando l’automobile uccise la cavalleria
- Autore: Giorgio Caponetti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marcos y Marcos
- Anno di pubblicazione: 2014
Un romanzo storico, così definisce Giorgio Caponetti Quando l’automobile uccise la cavalleria, bella storia italiana che ha per protagonisti quattro cavalieri, e una città, Torino, da poco non più capitale del nuovo Regno, ma pronta a divenire la capitale della nascente industria automobilistica, abbandonando il ruolo di capitale dell’aristocrazia che vedeva nell’arma della cavalleria la più perfetta incarnazione dei propri ideali.
Federigo Caprilli, il più grande campione di equitazione che il nostro paese abbia annoverato, Emanuele Cacherano di Bricherasio, aristocratico piemontese di larghe vedute e pronto a lanciarsi nel nuovo secolo e nelle sue invenzioni, Giovanni Agnelli, che tutti crediamo di conoscere: a queste tre storie esemplari si aggiunge quella del meno noto Benedetto, attivo nei servizi segreti durante gli anni del fascismo, nonno del narratore bambino, a cui racconta fatti, molti inediti, contenuti nel romanzo: partiamo dal 1871 per giungere attraverso le vicende complesse che ha attraversato il nostro paese fino agli anni Cinquanta del secolo scorso.
La trama è fitta di episodi, alcuni notissimi, molti sconosciuti, che hanno coinvolto i personaggi che campeggiano nel racconto. Federigo Caprilli sembra fare la parte del leone e improntare di sé e del suo fascino magnetico molta parte delle vicende narrate: figlio di primo letto di una dama romana, è costretto a lasciare la casa di famiglia per un collegio e poi per la invidiata Accademia militare di Modena. Siamo nel 1886 e lì incontra l’aristocratico piemontese Emanuele di Bricherasio e lo sconosciuto Giovanni Agnelli. Nasce la profonda amicizia fra i due giovani, che prosegue alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo, mentre il sottotenente Giovanni Agnelli lascia la vita militare e rientra nella sua casa di Villar Perosa, che dista però pochi chilometri da Pinerolo: i tre sono destinati a condividere un gran pezzo della loro vita.
Presto Caprilli diventa intimo della casa Bricherasio, ospite fisso della contessa Teresa e della sorella Sofia, promettente pittrice: infatti nella loro dimora si incontrano pittori e musicisti e il giovane Emanuele, pur attento al patrimonio familiare, è incuriosito e affascinato dalle nuove idee socialiste: si lega ad Edmondo De Amicis, che, oltre al celebre Cuore, scrive di politica e di società molto inviso alla cerchia aristocratica dei Bricherasio, come pure un nuovo pittore che si sta affermando, Giuseppe Pellizza: nel suo povero studio a Volpedo sta dipingendo un’enorme tela che sarà destinata al successo ed Emanuele Bricherasio per primo ne intuisce la grande potenza comunicativa, commosso dal fatto che la donna con il piccolo in primo piano è la moglie poverissima dell’artista.
Caprilli invece colleziona cavalli e donne, sa scegliere gli uni e le altre con grande competenza: sotto di lui i più riottosi purosangue vengono domati e le nobildonne più in vista restano vittime del suo fascino prorompente. Mentre Caprilli, indisciplinato militare ma valentissimo cavaliere inventa il moderno concorso ippico e spopola in tutte le gare, non solo nazionali (nel 1900 partecipa alla grande Expo parigina sgominando gli avversari sotto falso nome), Bricherasio segue l’arte ma anche la grande novità di fine secolo: l’avvento dell’automobile.
Lunghe pagine del libro ricostruiscono minuziosamente gli eventi che portarono un gruppetto di nobili torinesi a fondare un Automobil Club, e successivamente una fabbrica di automobili. Qui ovviamente entra in gioco il Cavaliere Giovanni Agnelli, che presto diventerà l’ago della bilancia della nuova fabbrica F.I.A.T., con stabilimento in corso Dante a Torino.
Le vicende che porteranno il gruppo dei primi azionisti del gruppo a perdere tutto, mentre Giovanni Agnelli riesce a rilevare la fabbrica potenziandola grazie ad appoggi molto in alto, lo stesso Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando lo sostiene con forza, è la vera storia della Fiat, che perde i puntini per divenire “fabbrica italiana automobili e trasporti”. Siamo nel 1906, e al caffè Burello, dove si radunano quelli che contano in città, si sente un avventore urlare:
“La fabbrica italiana automobili Torino non-e-si-ste-più! Adesso esiste la Fiat Spa, che non è più un acronimo di niente. La ragione sociale è solo Fiat. Senza puntini.”
Giovanni Agnelli è l’amministratore delegato, gli altri sono fuori e hanno perso tutto. Emanuele Bricherasio ne morirà, dicono, suicida, ma resta il mistero. Anche Caprilli, deciso ad aiutare Sofia a scoprire la verità sulla morte del fratello, custode delle carte capaci di inchiodare alle proprie responsabilità il gruppo di potere politico ed economico che aveva favorito l’ascesa di Agnelli, morirà in un misterioso e mai chiarito incidente di cavallo.
L’automobile dunque è la vera causa della morte della cavalleria, come afferma il titolo del romanzo, una metafora estremamente realistica capace di sintetizzare la storia di un trentennio della storia italiana, a cavallo di due secoli, quelli che videro la Belle Epoque trascolorare nel mattatoio della Prima Guerra mondiale e subito dopo precipitare nella dittatura fascista. I camion Fiat, i carri armati Fiat, gli aerei Fiat, i sommergibili Fiat, decreteranno inevitabilmente l’inutilità dei cavalli, pur se in sella sedevano campioni di un tempo ormai finito per sempre.
Giorgio Caponetti ci racconta questa storia affascinante dove in ogni pagina incontriamo pezzi del nostro immaginario, piloti d’auto, cavalieri, meccanici, poeti, aviatori, gran dame, corridori, regnanti, artisti, in un caleidoscopio dove ognuno ha il suo posto, la sua ragion d’essere, il suo ruolo nella narrazione di una Europa, di un’Italia, di una città industriale, Torino, del tutto scomparse.
Quando l'automobile uccise la cavalleria
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