Quando verrai sarò quasi felice. Lettere a Elsa Morante 1947-1983
- Autore: Alberto Moravia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2016
Ebbene sì, Elsa Morante non voleva sapere cosa pensasse dei suoi libri suo marito, Alberto Moravia.
Come dimostra la raccolta “Quando verrai sarò quasi felice”, lo scrittore si limitava nelle lettere a dire se stava lavorando bene, a chiedere se aveva caldo o freddo, se era ammalata, se aveva il raffreddore, essendo la moglie freddolosa, sempre febbricitante, perché mangiava male, poco o niente, a volte, mentre altre volte si abbuffava nei ristoranti. Elsa Morante non sapeva cuocere nemmeno un uovo e quindi quando la coppia era a Roma a pranzo si arrangiavano, la sera andavano sempre fuori per la cena, sempre nei soliti posti, ma a volte annoiati giravano per Roma, per trovare un nuovo locale.
Così per Elsa, mai un commento sui libri del marito e dire che “La disubbidienza” aveva avuto successo di critica e di pubblico; mai un complimento, nemmeno quando, con “La Ciociara”, Alberto Moravia ambiva al Nobel.
Così per i libri degli altri, ogni tanto lo scrittore le chiedeva solo se poteva prendere in prestito i racconti di Cechov, che erano la Bibbia di Elsa Morante, che li rileggeva in continuazione.
A parte l’amore extraconiugale delle scrittrice per Luchino Visconti - se ne è parlato nella presentazione di questo epistolario - l’altro amore bello e infelicissimo di Elsa Morante fu Per Bill Morrow conosciuto in un viaggio a New York, città che la scrittrice odiava profondamente perché era il regno dell’irrealtà, luci sempre accese, bar immensi, grattacieli, mentre lei, invece, “realista”, ammirava le case basse, le dacie, le case che descrivono i russi. La scrittrice era ammalata per i romanzi russi, “Anna Karenina”, “I fratelli Karamazov”, “L’idiota”, “Delitto e Castigo”.
Meno appassionata dei romanzi americani, ma riconosceva che era un suo limite. Bill Morrow parte con lei per Roma e un Moravia arrabbiato e disilluso presenta i lavori del pittore. Il matrimonio è finito da un pezzo.
La scrittrice va a vivere da sola a via del Babuino.
Alberto Moravia cambia l’intestazione nelle lettere
da “Carissima Elsina” a “Cara Elsa”.
Bill Morrow cade da un grattacielo e si pensa a un suicidio.
Moravia cerca di consolarla ma lo fa in modo automatico, gelido, anaffettivo.
Se Morante non avesse avuto, dopo, tante traversie di salute - fu operata ben due volte - forse Moravia avrebbe smesso di scriverle.
Ormai la sua vita e i suoi viaggi erano con la nuova amata, Dacia Maraini, che nelle lettere cita sempre en passant, non volendo scatenare un’ultima guerra con la sua vera moglie.
Nel 1983 Morante che cammina invalida e sente il peso degli acciacchi tenta il suicidio, aprendo tutti i rubinetti del gas.
Spaventato lo scrittore la fa ricoverare in una clinica, dando indicazioni di non farla uscire mai più. La donna muore d’infarto nel 1985.
In quegli ultimi anni non ci sono più lettere di Alberto Moravia ma solo cartoline da ogni posto del mondo. Dietro scrive semplicemente
“Affettuosamente, Alberto”
Queste lettere sono importanti perché danno l’impressione di come un amore accecante possa diventare cenere, nulla.
I matrimoni borghesi quando finiscono, non lasciano tracce di amore o di tenerezza e Moravia era un anaffettivo preso solo dal proprio lavoro e dai viaggi continui che faceva.
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