Dal 16 gennaio 2014 al cinema il film “Anita B.” di Roberto Faenza, tratto dal libro "Quanta stella c’è nel cielo" di Edith Bruck.
“Da viaggiatrice clandestina appena fuggita dal paese natio né potevo né osavo respirare, schiacciata com’ero contro la parete del corridoio maleodorante di un vecchio treno freddo e stracolmo”.
Anita era una ragazza di origini ungheresi che non aveva ancora 16 anni, ma che aveva già visto l’indicibile: sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz e liberata a Bergen-Belsen, l’adolescente si stava recando in Cecoslovacchia dall’unica parente superstite, zia Monika, accompagnata da Eli, il cognato di quest’ultima.
“Con i suoi dieci anni più di me era un vero uomo dalla faccia vissuta, i lineamenti ben marcati, la pelle olivastra spessa, porosa, e l’espressione perennemente ambigua”.
Anita, “ebrea e vittima del nazifascismo”, all’interno di quel treno insieme a quella “moltitudine babelica che sapeva di miseria e di fame, di vita salvata come la mia”, si domandava se nella casa di Monika avrebbe avuto un angolo tutto suo in un mondo
“dove non solo io ero persa, ma era il mondo stesso a sembrarmi caotico, povero, informe, freddo, sordo, imbronciato, occupato dai vincitori sul nazifascismo che spadroneggiavano sui perdenti, sui sospettati o indesiderati”.
La giovane, che proveniva da un orfanotrofio ungherese, si era subito resa conto che ciascun individuo che era riuscito in un modo o in un altro a salvare la pelle desiderava solo dimenticare.
“Non parliamo. Tu non raccontare io non racconto. Adesso vita. Vivere capito?”.
Tutta la produzione letteraria di Edith Bruck, scrittrice e poetessa ungherese naturalizzata italiana, racconta la Shoah. L’autrice (1932), che vive a Roma dal 1954, sopravvissuta all’inferno di Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen, in questo suo romanzo, edito nel 2009, prende in esame il dopo Olocausto, il dopoguerra, il ritornare a vivere dopo aver guardato in faccia la morte. Attraverso lo sguardo di Anita assistiamo al risveglio dell’umanità dolente che ha vissuto il dramma di un evento bellico: c’è chi desidera dimenticare e chi vuole ricordare, chi vuole ricominciare la propria esistenza imbarcandosi per la Terra Promessa, la Palestina e chi al contrario vuole vendicarsi.
“La guerra ha cambiato tutto, oramai non sappiamo più chi siamo”.
Tutto questo accade anche a Zvikovec, villaggio dei Sudeti dove vive zia Monika con il marito Aron Ungar e il figlio Roby.
“L’espulsione forzata è in pieno svolgimento. Tutte le minoranze etniche sono in pericolo. I comunisti, mirano al potere e la sovietizzazione è dietro la porta, se l’America non ci inonda di dollari! La gente vuole mangiare e va con chi promette pane, lavoro e uguaglianza”.
In questo territorio prima occupato dai tedeschi la parola tabù è “campo di concentramento”, “vogliamo vivere!” sembrano gridare gli abitanti del villaggio ascoltando di nascosto le canzoni provenienti da oltreoceano mentre Anita è l’unica a voler ricordare.
“L’unica cosa che mi addolora è non poter parlare con nessuno di quello che abbiamo passato”.
Ma la “medele” (“fanciullina” in yiddish) Anita che possiede il coraggio della memoria, realizzerà il sogno della madre:
“voglio inventarmi un mondo che non esiste”
avendo dentro di sé i ricordi del passato e il simbolo del futuro rappresentato dal figlio che porta in grembo. Sempre in compagnia del verso di una ballata del poeta ungherese Sandor Petofi (1823 – 1849):
“Quanta goccia c’è nell’oceano? Quanta stella c’è nel cielo? Quanto capello c’è nella testa dell’uomo? E quanto male nel cuore?”.
Quanta stella c’è nel cielo: dal libro al film. Il coraggio di ricordare
Il regista Roberto Faenza, che ha tratto il film Anita B. dal romanzo di Edith Bruck, in uscita oggi sugli schermi italiani (protagonisti Eline Powell, Robert Sheehan, Andrea Osvart e Moni Ovadia, prodotto dalla Good Films, co-sceneggiatrice Edith Bruck) ha definito la sua pellicola
“non un film sull’Olocausto, ma un film sull’esercizio della memoria”
perché il ricordo per Anita
“è l’unico modo per affermare se stessa”.
Faenza ha dichiarato che è stato Furio Colombo a suggerirgli di leggere il libro:
“un po’ mi spaventava una storia così forte. Quando ho finito di leggerlo, ho avuto una crisi di pianto. Mi ha sconvolto”.
Durante la conferenza stampa di presentazione del film, Faenza ha denunciato il tabù che c’è nel nostro Paese intorno al tema dell’Olocausto:
“mi è bastato accennare al fatto che la protagonista del film è una giovane sopravvissuta ad Auschwitz ed ecco che e porte delle sale cinematografiche si sono rinchiuse”.
Anita B. viene distribuito su tutto il territorio italiano con solo 20 copie.
“Prima di evitare il mio film a priori, gli esercenti dovrebbero vederlo: si renderebbero conto che si tratta di una storia sul post lager e sostanzialmente di una storia d’amore, d’integrazione e di emancipazione al femminile”
ha concluso Roberto Faenza. Anita B. sarà presentato il prossimo 27 gennaio Giorno della Memoria al Museo di Yad Vashem di Gerusalemme.
“Alla terra siamo ascesi, alla terra siamo ascesi, l’abbia già arata, l’abbiamo anche seminata, ma il raccolto non l’abbiamo ancora avuto”. (“Canzone imparata nei vari centri di pre emigrazione nell’Europa di Auschwitz”).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quanta stella c’è nel cielo: dal libro di Edith Bruck al film “Anita B.” di Roberto Faenza
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