Quintetto romano
- Autore: Raoul Precht
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2023
Le strenne natalizie abbondano nelle librerie di catena e nei centri commerciali, proponendo libri di chef stellati, giornalisti divenuti tutti storici, influencer a vario titolo, giallisti per tutte le stagioni.
Scovare un libro diverso, originale, raffinato, colto, come quello appena pubblicato da Bordeaux, piccola casa editrice romana, firmato dal saggista/poeta/romanziere Raoul Precht, è stata una sorpresa piacevolissima. Quintetto romano, quasi il titolo di una partitura musicale, è proprio un romanzo a cinque voci, che trovano nel loro soggiorno romano, vissuto in epoche diverse, la loro narrazione che viene proprio da momenti diversi della storia letteraria. Un’epigrafe di Julian Barnes, che precede le cinque storie, recita in traduzione italiana
Se amiamo uno scrittore, se dipendiamo da ogni goccia della sua intelligenza, se malgrado ogni editto contrario vogliamo inseguirlo e trovarlo, allora è impossibile saperne troppo.
Ecco allora che Raoul Precht si documenta sul soggiorno a Roma di cinque grandi nomi della letteratura che in modo diverso hanno abitato, amato, criticato, detestato la Città eterna, colta in vari momenti della sua storia. Ne ricava piccole narrazioni in cui Stendhal, Gogol’, Romain Rolland, Malcom Lowry, John Cheever hanno raccontato il loro soggiorno, le loro impressioni, il rapporto con Roma e la sua storia, componendo in finale una sorta di affresco che identifica squarci di vita, di società, di personaggi famosi, di aneddoti minori dimenticati, passati attraverso il filtro di letterati significativi.
Si comincia con Stendhal , fingendo che abbia scritto una lettera mai spedita ad una donna di cui si credeva innamorato, Menti, dal suo soggiorno romano del 1823: in quell’anno lo scrittore francese aveva visitato le rovine fumanti della basilica di San Paolo fuori le mura, in seguito ad un incendio, forse doloso.
A Roma un’azione dimostrativa contro il Papa da parte della Carboneria? Si era data la colpa a due operai che avevano lasciato accese le braci mentre stavano lavorando ad un restauro, ma l’accusa era certamente inconsistente. Nei salotti romani si faceva un gran parlare di questo sconvolgente avvenimento, e Stendhal ascoltava con attenzione le chiacchiere dei suoi connazionali e della società del bel mondo Romano. Il capitolo dedicato a Nikolaj Gogol’, che soggiornò a Roma negli anni 1837-38, è particolarmente interessante per la storia europea di quegli anni: lo scrittore russo aveva soggiornato a lungo a Parigi per via del colera e della difficoltà a spostarsi. Ma anche a Roma l’epidemia si andava diffondendo, tanto da costringere l’autorità pontificia a vietare il Carnevale.
Tuttavia Gogol accetta di arrivare a Roma, si sistema nei pressi di piazza Barberini, un amico pittore lo incoraggia a restare, e dopo:
Un anno di permanenza in quella città meravigliosa, Nikolaj si sentiva ormai completamente italianizzato
Avendo cambiato il proprio nome in Niccolò Cocoli. Eccolo frequentare Trinità dei Monti, il Caffè Greco, il Pantheon per rendere omaggio alla tomba del divino Raffaello, e ancora gli inviti in case aristocratiche romane. Fondamentale l’incontro in casa della principessa russa Zinaida, protettrice degli scrittori, di un ometto dimesso e insignificante, il poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli, a lui sconosciuto, che si rivolge alla padrona di casa in versi romaneschi ”Sor’ Artezza ZZenavida Vorcoschi”, declamando i suoi straordinari sonetti.
E poi un racconto di Romain Rolland, che nel suo soggiorno romano del biennio 1889-1891 non fa che scrivere ed essere ossessionato dalla madre, “mammina cara”: nelle sue missive si parla di ruderi, negozi di cravatte, serate musicali, i musei Vaticani, la Sinagoga, il principe Primoli, nipote di Bonaparte.
E poi conversazioni musicali su Wagner, a teatro una bella esecuzione del Lohengrin, passeggiate nelle ville storiche, Villa Albani su tutte. Rolland si riempie di cultura, legge le poesie di Goethe, al mercatino dei libri scova riproduzioni di manoscritti leonardeschi, ordina partiture di Bach, visita il museo Torlonia, frequenta il caffè Aragno.
Giornata tersa e luce eccezionale al Pincio. Già di prima mattina. Quand’è così Roma ti rianima.
Gli ultimi due capitoli del volume, dedicati a Malcom Lowry e a John Cheever, pur essendo interessanti per gli anni che raccontano, il 1948 di Lowry, in una Roma del primo dopoguerra dove l’artista non fa che bere, anche se ha promesso alla moglie Margerie che smetterà; e il 1956 di John Cheever, che arriva a Roma con moglie e figli, di cui uno in arrivo, e deve seppellire un piccolo topo amatissimo dai suoi bambini. Capitoli ben costruiti, ma ai miei occhi di lettrice un po’ meno appassionanti dei primi tre racconti. Anche se, soprattutto nel caso di “Il languore della fuga”, il romanzo che ha per protagonista il narratore americano John Cheever, l’attualità del tema storico colpisce:
Anzitutto, gli israeliani avevano pensato bene di invadere la striscia di Gaza e il Sinai in risposta alla nazionalizzazione, da parte egiziana, del canale di Suez; il tira e molla era andato avanti per mesi, fra minacce e reciproche recriminazioni.
Sembra proprio che ci si riferisca all’oggi, potenza della letteratura visionaria e profetica. In conclusione del volume, Raoul Precht fa dire al suo personaggio che si è stabilito nella capitale che:
Roma era mutevole e volubile come un’amante troppo giovane e capricciosa: poteva trasformarsi da un momento all’altro, e a volte lo faceva anzi a più riprese nell’arco della medesima giornata.
Una Roma nella quale anche oggi ci riconosciamo e che continuiamo ad abitare amandola e maledicendola, come gli artisti stranieri che l’hanno conosciuta e vissuta, come le loro opere ci hanno raccontato.
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