Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A. D.
- Autore: Leonardo Sciascia
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
Nel 1969 Sciascia pubblica per Einaudi la Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A. D., cioè ad Alexader Dubcek, l’uomo della "primavera di Praga" in cui le manifestazioni studentesche vennero schiacciate dai carri armati sovietici. La dedica è eloquente: lo scrittore prende di mira quel comunismo totalitario depositario della verità ideologica in virtù della quale si reprimono le aspirazioni dei popoli che vogliono sottrarsi all’ingerenza imposta da Jalta.
Anche l’epigrafe, in cui è citato Pascal, è indicativa di una riflessione sul potere: Gesù sapeva che il potere esercitato in nome della religione “che detiene il ramo principale e si insinua dappertutto” poteva facilmente degenerare in tirannide. Per questo aveva stabilito il precetto “Vos autem non sic” (“Per voi non sia così”, Luca 22,25-27).
La struttura del testo, un pamphlet sceneggiato, è drammaturgica, mentre l’appendice, che riporta un estratto del Diario del canonico Mongitore (testimone dei fatti rappresentati), richiama la strategia di Morte dell’inquisitore. Prevalente il modello manzoniano della Colonna infame per l’esigenza dello stretto rapporto tra passato e presente e in considerazione della storia che si esprime nel dominio come affermazione del più forte.
Quello di Sciascia è un discorso sulla vicenda liparitana, iniziata nel 1711 quando la Sicilia passa dalla dominazione spagnola a quella dei Savoia col trattato di Utrecht (1713). È il periodo in cui si registrano aspri conflitti tra la Chiesa romana e il Viceré per una vicenda banale, ma di grande importanza per tutta l’Europa. Quattro gli atti attorno al diario del canonico Antonino Mongitore, storico del settecento schieratosi nella controversia col papa, anche se tra i “curialisti” era stato forse uno dei più obiettivi.
Il vescovo di Lipari affida a un bottegaio un partita di ceci perché sia venduta al mercato. Non essendo stata pagata la tassa per "diritto di mostra", alcuni ufficiali annonari la sequestrano. Il prelato, fautore della tesi per la quale gli spetta il privilegio ecclesiastico dell’esenzione fiscale, li scomunica malgrado i due ufficiali abbiano subito presentato le scuse riparatrici.
Era questi nel vero? Secondo il potere regio le cose non stavano così. A Palermo il Tribunale della Monarchia, un istituto risalente ai re normanni, annulla la scomunica, giustificando il provvedimento con un argomento giuridico: la bolla di Urbano II del 1097 aveva concesso a Ruggero il Normanno e ai successori il potere sulla materia ecclesiastica non suffragata da dogmi. Pertanto nessuna scomunica poteva essere data senza il loro consenso.
Nasce dunque da un futile motivo un conflitto dai toni parossistici che si sviluppa in una controversia etica-giuridica-teologica che coinvolge teologi, giureconsulti e alti funzionari. Vivace la cultura siciliana: Hume è il filosofo più conosciuto e Domenico Scinà è fisico e letterato, autore del prezioso Prospetto letterario della Sicilia del XVIII secolo e del testo Introduzione alla fisica sperimentale.
La contrapposizione, propagatasi a tutto il Regno di Sicilia, vede due schieramenti che vogliono accrescere le rispettive prerogative: la Sicilia illuminista, che ha rapporti con la cultura francese, e quella reazionaria che si muove in una perversa logica temporale.
Quali le ragioni del Mongitore? Come si evince dal suo Diario, il Vescovo di Lipari ha ragione perché la scomunica emessa non poteva essere annullata dal Tribunale della Monarchia di Palermo, ma solo dal papa, giacché la Diocesi di Lipari non è soggetta alla “Legazia Apostolica siciliana”, ma alla Santa Sede, per una concessione ancora più antica. Non è più in gioco il privilegio della Chiesa di Lipari, bensì l’autorità del papa Clemente XI.
Invece i “regalisti” - così erano chiamati i sostenitori delle tesi siciliane in opposizione ai “curialisti” – riducevano la controversia a un eccesso di reazione del vescovo di Lipari e a un’impuntatura priva di carità cristiana. Il susseguirsi delle scomuniche scatena reazioni: il viceré arresta i sacerdoti o li fa deportare.
Quando poi nel 1718 tornano in Sicilia a governare gli spagnoli, tutto si normalizza e si ripristina il potere della Chiesa:
"Nel giugno del 1718, in violazione del trattato di Utrecht, gli spagnoli tornavano a impadronirsi della Sicilia. Tornando alla vecchia politica, la Spagna, che nel 1711 non aveva ceduto alla Santa Sede, nel 1719 ne accettava le condizioni".
Quello di Sciascia è uno sguardo etico, che intende affermare la laicità dello Stato. E forse l’indagine è animata da una tesi ottimistica: le ragioni del potere, se si impongono in un momento storico con l’uso della forza, nel lungo periodo perdono la loro efficacia. Sicché la speranza degli uomini che non cedono di fronte al potere non potrà non dare i suoi frutti:
"La politica degli Stati… può qualche volta straripare e deviare, ma presto o tardi torna al vecchio corso. E che straripi o torni all’antico alveo, sempre le piccole nazioni rischiano di essere travolte o di caricarsi di nuove sofferenze. Ma il fatto è che le piccole nazioni ci sono; e quale che sia il rischio, è soltanto nei momenti di confusione tra le grandi che possono affermare la loro esistenza, far sentire la loro voce, trasmettere un gesto, un esempio, un segno storico insomma alle generazioni future".
Se c’è una verità storica da far emergere, il nodo nevralgico della controversia resta il rapporto potere-scomunica: argomento questo che in punto di morte angoscia Lo vecchio. La reazione di Prolongo, altro personaggio, dinanzi a questi morente è dettata da un’istanza libertaria a difesa della dignità umana:
"Un uomo non può scomunicare un altro uomo. Anche se quest’uomo è il papa, non può; non può capisci? (quasi gridando) non può! Nemmeno Dio può scomunicare un uomo: rinuncerebbe a conoscersi. Non ci sono scomuniche".
Ingastone, collocandosi dalla parte dei vinti, si sofferma sul coraggio di aver tentato nuovi spazi di libertà, malgrado la sconfitta:
"Abbiamo tentato di inventare il cristianesimo in un paese che è cristiano solo di nome; e abbiamo dato alla vuota maestà del giudizio un contenuto di umanità, di giustizia".
La lotta contro il potere resta pur sempre una testimonianza di elevata eticità. Infine Ingastone aggiunge: "Ma perdio, ci siamo stati".
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