Il 18 gennaio 1987 si spegneva a Roma Renato Guttuso, grande esponente della pittura neorealista italiana. Originario di Bagheria, luogo dell’infanzia della scrittrice Dacia Maraini, Guttuso aveva manifestato un talento prodigioso per la pittura a soli tredici anni riproducendo sulla tela le terre arse dei paesaggi siciliani con un stile che ricordava i migliori dipinti dell’impressionismo ottocentesco. Abbandonata la Sicilia, il giovane artista fece di Roma la sua seconda casa, dove strinse amicizia e instaurò sodalizi longevi con i maggiori personaggi del mondo culturale dell’epoca.
Visitando la casa di Alberto Moravia, a Roma sul lungotevere della Vittoria, vi imbatterete in una singolare rappresentazione dello scrittore: un ritratto perfetto dalle tinte accese realizzato proprio da Renato Guttuso che sembra restituirci, attraverso quell’insieme di pennellate contorte, l’essenza più vera dell’autore de Gli indifferenti. L’artista neorealista incontrò lo scrittore neorealista e quel che accadde dopo è arte, o meglio, una fusione prodigiosa di pittura e poesia.
Pier Paolo Pasolini scrisse di Guttuso:
Chi dipinge è un poeta che non è mai costretto dalle circostanze a scrivere in prosa.
Ed era vero. Renato Guttuso era un pittore-poeta, racchiudeva nella sua persona la vitalità dell’arte nel suo stato più puro. Scriveva con il pennello, restituendo l’impressione viva di un istante transitorio.
Scopriamo l’arte di Renato Guttuso e il suo formidabile ritratto di Alberto Moravia, più perfetto e veritiero di qualsiasi biografia dello scrittore; di certo più poetico ed evocativo di ogni fotografia.
L’arte sociale di Renato Guttuso
Ciò che maggiormente caratterizzò l’arte di Guttuso fu l’impegno sociale: le opere dell’artista riuscivano a fondere la carica espressiva della pittura con le istanze politiche e sociali del Novecento, non erano semplicemente quadri esteticamente belli o dai tratti realistici, ma celavano un messaggio preciso nell’armonia delle pennellate. Quella di Renato Guttuso era un’arte sociale, definita neorealista secondo le tendenze del tempo: raffigurava le masse dei lavoratori, gli operai, il tumulto del popolo. Il suo dipinto più celebre La Crocifissione (1940) attraverso il rimando al sacro denunciava gli orrori della guerra, ma rappresentava anche altro: era un omaggio ai vinti, ai martiri, a tutti coloro che venivano perseguitati per le loro idee, la testimonianza che “morire per delle idee” era una cosa nobile. Il quadro, neanche a dirlo, suscitò un vespaio di polemiche nel mondo ecclesiastico e fu definito “immorale e blasfemo”; ma il suo lampante simbolismo tuttora fuoriesce dalla tela come un urlo e lo rende un capolavoro senza tempo.
L’arte di Guttuso ci fornisce anche una formidabile galleria di ritratti dei maggiori letterati italiani del Dopoguerra: Eugenio Montale, Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini, ma soprattutto Moravia. Ad Alberto Moravia, uno dei principali esponenti del neorealismo in letteratura, Renato Guttuso dedicò due celebri ritratti, oltre a diversi bozzetti.
L’incontro tra Renato Guttuso e Alberto Moravia
Nel 1940 un giovane Moravia scriveva dell’arte di Guttuso sul catalogo di una mostra genovese definendola “rigenerante”. Tra i due nacque uno stretto sodalizio amicale ed intellettuale. Alberto Moravia paragonò i quadri di Guttuso all’arte di Goya, il pittore spagnolo che con la sua peculiare sensibilità riusciva a fissare sulla tela non delle pure immagini, ma dei sentimenti.
Moravia scrisse una sintesi prodigiosa dell’arte di Renato Guttuso:
Riusciva a dare colore alla carne.
Fu sempre Guttuso l’artista designato per illustrare le 500 copie della prima edizione di Agostino, nel 1944. Il libro era mal visto dalla censura fascista a causa dell’argomento, considerato troppo scabroso, e fu pubblicato in tiratura limitata dalla casa editrice “Documento” di Federico Valli. Le due illustrazioni realizzate da Renato Guttuso esaltavano il contenuto erotico del libro, come testimoniano il ritratto del bagnino Saro e un nudo femminile.
Il realismo quasi mitico dell’arte di Guttuso è tuttavia meglio rappresentato nei due ritratti che l’artista realizzò dello scrittore in carne e ossa. Alberto Moravia, visto attraverso gli occhi di Renato Guttuso, diventa una figura quasi mitica, ultraterrena: abbandona le spoglie umane per vestire quelle supreme delle scrittore, dell’uomo d’intelletto e di pensiero.
Il ritratto di Alberto Moravia di Renato Guttuso
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Il primo ritratto è datato 1940 e raffigura un giovane Moravia. L’opera è nota con il titolo Moravia e la stampa di Picasso, perché ritrae lo scrittore seduto sulla sedia di fronte a un quadro del pittore spagnolo. Il dipinto di Picasso si intravede appena (raffigura un busto nudo di donna), la scena si focalizza sulla figura di Moravia: ha il volto chino, i folti capelli scuri e la sua espressione è pensosa, le mani nodose intrecciate sulle ginocchia. Il tutto è fuso in macchie di colori irregolari che danno alla scena un connotato quasi astratto. Oggi il ritratto, datato maggio 1940, è conservato presso la Pinacoteca di Brera a Milano.
Ma il vero capolavoro è Ritratto di Moravia con maglione rosso, olio su tela, dipinto nel 1982. Il quadro è oggi custodito nel salotto della Casa Alberto Moravia a Roma e sembra custodire l’arcana presenza dello scrittore nel luogo. Moravia sembra letteralmente fuoriuscire dal dipinto e scrutare i visitatori con i suoi occhi inquieti. Sembra un dipinto magico, alla stregua del ritratto di Dorian Gray, un’opera d’arte capace di racchiudere l’essenza segreta dell’uomo (e dell’artista) e così renderla viva, tangibile, reale.
Ritratto di Alberto Moravia con maglione rosso
Nel dipinto prodigioso di Renato Guttuso, Alberto Moravia sembra essere osservato e compreso nella sua irripetibile individualità. Il dipinto si trova al centro del salotto dell’abitazione romana: è appeso su un muro bianco, immacolato, circondato da maschere africane e altri suppellettili che testimoniano i viaggi esotici dello scrittore.
Il quadro troneggia nella stanza come una presenza viva: rapisce subito lo sguardo con la macchia rossa del maglione che spicca nel centro, sovrastando la sinfonia di grigi e azzurri che fa da contorno e delinea la figura.
Ancora una volta Moravia è ritratto seduto: non su una sedia, ma su una comoda poltrona imbottita con i braccioli di legno. Non è più lo stesso del dipinto del 1940: è invecchiato, lo testimoniano i radi capelli canuti, le rughe sul viso e sulla fronte, le sopracciglia folte e bianche. Ma l’espressione è rimasta la stessa: accigliata, pensosa, sembra scrutare in un altrove.
È vestito d’azzurro: una giacca azzurra e i pantaloni di una tonalità più scura, su cui spicca una camicia rossa e la tinta vivace di un maglione rosso, l’unica macchia di colore dell’intero dipinto. Lo sfondo è grigio, con sfumature azzurre, e la figura di Moravia se ne distacca appena in una specie di forma fantasmatica, spettrale. Sembra emergere da un altro mondo in quella posa tranquilla, con le gambe accavallate e le mano posata sulla guancia, come se fosse in attesa.
Il particolare interessante dell’opera sono proprio le mani di Moravia. Renato Guttuso le raffigura con cura: sono mani giganti, sproporzionate rispetto al resto del corpo, grandi quasi quanto la testa della figura come se volessero racchiuderne la mente, regno del pensiero. Sono mani nodose, con le nocche in risalto, mani che sembrano pronte ad agire.
Renato Guttuso sapeva che le mani sono l’essenza di uno scrittore, per questo si concentra nel rapire ogni dettaglio delle mani di Alberto Moravia: dito per dito, unghia per unghia. L’opera d’arte nasceva da lì, da quelle mani tenevano ben salda la penna e si facevano così strumento di pensiero.
A quelle mani il pittore neorealista aveva dedicato anche una serie di bozzetti, noti con il nome Study of the hands of Alberto Moravia, battuti all’asta nel 2017. In quei bozzetti a matita si può cogliere l’attenzione meticolosa che Guttuso dedicò a quel dettaglio minimo della persona dello scrittore. Bastano le mani - incrociate, distese, intrecciate - a racchiudere la memoria, il pensiero, l’inquietudine di un uomo.
Solo un’artista con gli occhi di un poeta poteva concentrarsi su un particolare, all’apparenza così futile, che però acquisiva un significato essenziale.
Renato Guttuso ci ha restituito le mani di Alberto Moravia, come una reliquia, immortalando così la scrittura - che in fondo è un’azione astratta - nella concretezza dell’opera d’arte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quando Renato Guttuso ritrasse Alberto Moravia
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