Ribelli contro Roma
- Autore: Giovanni Brizzi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2017
In guerra contro Spartaco, subendo sconfitte a ripetizione e senza neppure considerarlo un conflitto onorevole. Il professor Giovanni Brizzi, ordinario di Storia Romana nell’ateneo di Bologna e già docente nelle università di Sassari, Udine e alla Sorbona, ricostruisce le guerre servili in un agile volume delle collane tascabili de il Mulino, “Ribelli contro Roma. Gli schiavi e l’altra Italia”, uscito dalla tipografia ad ottobre 2017 per la diffusione in tutta Italia (pp. 232, euro 16,00).
Una guerra di cui vergognarsi, alla quale duecento anni dopo lo storico romano Anneo Floro ancora stentava a riconoscere una dignità bellica. Non trovava adatta nemmeno l’aggettivazione di guerra “servile” (vale a dire, contro i servi), che oggi adottiamo per comodità. Trovava disdicevole che l’esercito di Roma avesse affrontato orde che avevano per soldati degli schiavi e per comandanti dei gladiatori. Nell’insieme, a suo dire, una seconda specie di essere umani. Un genere inferiore, sembra un anticipo delle espressioni sprezzanti dei nazisti nei confronti di ebrei, slavi e popolazioni non ariane: untermenschen, sottospecie di uomini.
Aveva ragione, ma non per la visione pesantemente razzista, per un’altro motivo, messo in evidenza da Giovanni Brizzi: servili furono solo le prime due rivolte, in Sicilia, perché Spartaco non guidò un esercito di schiavi, ma la rivolta delle popolazioni italiche che rivendicavano dignità e diritti nei confronti dell’Urbe. Questa la tesi novità del docente bolognese.
La ribellione di Spartaco fu la terza fiammata contro Roma nell’arco di meno di un secolo. Terza ed ultima, domata da Marco Licinio Crasso alla testa di una formazione finalmente considerevole di armati, forte di 40.000 legionari.
La prima rivolta era scoppiata in modo molto violento nel 135 a.C., in Sicilia, repressa dal console Publio Rupilio nel 132. La seconda divampò trent’anni dopo, sempre nell’isola e sempre con migliaia di schiavi in azione. Venne liquidata nel 101 a.C. (era cominciata nel 105), da Manio Aquilio Mariano.
Tra il 73 e il 71 a. C. il meridione d’Italia s’incendiò per la sollevazione più massiccia, guidata da un gladiatore trace, Spartaco e nata dopo la fuga dalla scuola gladiatoria di Capua. Strada facendo e reparti romani sconfiggendo, giunse ad assommare un centinaio di migliaia di combattenti, anime di
“un’Italia vilipesa e ribelle”
che si ergeva contro la capitale, scrive Giovanni Brizzi, strappando pur battuta concessioni a Roma, nonostante l’annientamento degli insorti e la crocifissione di 6.000 sconfitti sulla strada di Capua, testimoniata da Appiano.
La presenza di manodopera servile al servizio coatto della società romana è remotissima ed era molto cresciuta dopo le vittorie oltremare e l’enorme afflusso di prigionieri. Solo nelle guerre puniche, si calcolano in 300.000 quelli ridotti in schiavitù durante le guerre puniche, ai quali vanno aggiunti gli almeno 150.000 catturati nell’ultimo conflitto con la Macedonia, i 40.000 dalla Sardegna nel 174, i 50.000 superstiti della distruzione di Corinto nel 146 e infine i 150,000 Germani sopravvissuti alle vittorie di Gaio Mario.
Un’altra, imponente fonte di reclutamento di schiavi veniva dal fiorente commercio alimentato commercio alimentato dai pirati cilici nel Mediterraneo, che catturavano uomini e donne e li rivendevano in grandi mercati. E i possidenti romani, soprattutto, acquistavano braccia in quantità, per coltivare la terra e per ogni altra esigenza servile.
In Sicilia, ad esempio - non a caso fu lì che divampò la ribellione - chiunque possedesse appezzamenti da far fruttare comprava quantità di schiavi da mettere all’opera nei campi.
“Alcuni erano tenuti in catene, altri erano gravati di lavori pesanti; e in modo infame erano tutti marchiati a fuoco”.
Il numero divenne tanto elevato da risultare non facilmente immaginabile. L’isola ne fu letteralmente gremita. I siciliani più facoltosi fecero sfoggio del rispettivo “esercito” di servi e gareggiavano con i patrizi della penisola in “arroganza, avidità e crudeltà”.
La presenza di masse di uomini sempre più numerose, ridotte ad una condizione tanta disagiata da non avere niente da perdere salvo la vita, finì col mettere a rischio la sicurezza dell’isola e per rappresentare per Roma una gravissima minaccia armata.
Il centro della Repubblica viveva uno stato sociale e politico che non si estendeva allora al resto della penisola, una “seconda” Italia, a lungo emarginata, popolazioni meridionali, soprattutto appenniniche. La discriminazione generò malcontento e gli Italici trovarono in Spartaco un condottiero e nei suoi gladiatori e schiavi l’elite di una vera armata. Sebbene Crasso prevalesse, lo spavento indusse Roma a cedere pienamente alle richieste di integrazione civile italica.
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