Prima del suo ultimo libro di successo, “Il delitto di Kolymbetra”, in “Non c’è più la Sicilia di una volta” Gaetano Savatteri cita molte volte Andrea Camilleri, con cui ebbe frequenti contatti.
Nel libro vengono esposti gli stereotipi che si affibbiano alla Sicilia e Camilleri lo si ritrova rappresentato come personaggio oltre che come scrittore.
Alcuni oggi sostengono che con Camilleri si è perpetuata una visione folcloristica dell’Isola e si ricorda a questo proposito la polemica con Vincenzo Consolo, quando lo scrittore di Porto Empedocle era agli esordi nei primi anni Novanta. Camilleri non è stato sempre amato, anzi il suo successo ha dato fastidio a tanti, oltre ad essere per molto tempo ignorato dalla critica, nonostante il successo di vendite. Come sovente poi è accaduto anche con altri autori è stato necessario aspettare il buon risultato di vendite ottenuto per riconoscere anche il valore dei suoi libri.
Con Camilleri si è data vita ad una lingua di grande qualità, non un dialetto specifico di una località, ma un modo di raccontare che ha influenze siciliane, ma che è soprattutto particolare espressione letteraria. Il pregio maggiore di Camilleri è stato quello di aver dato dignità artistica ad una lingua relegata come mera espressione dialettale. Ma altro valore aggiunto è stato quello di aver descritto una Sicilia in maniera positiva, che prima di lui era cupa, pessimista, piena di lutto.
Questa nuova visione si manifesta nelle sue prime opere che escono all’indomani delle stragi del 1992, quando si rivela una speranza di cambiamento in ragione dell’energica reazione dello Stato e della riscossa emozionale della popolazione.
Camilleri intuì subito questo mutato sentire e scrisse di una Sicilia divenuta ottimista, del sorriso con la speranza e la possibilità, come succede allo stesso Montalbano, di fare giustizia e di avere giustizia in Sicilia ad opera degli stessi siciliani. Un Montalbano siciliano, che, al contrario del non siciliano capitano Belloli di Sciascia, vince e con lui vince la legalità e la giustizia. Mentre Belloli è sconfitto, viene trasferito e la sua inchiesta non arriva a nulla, per il Montalbano di Camilleri anche in Sicilia vi è possibilità di giustizia.
Andrea Camilleri, come uomo, era una persona disposta ad ascoltare oltre che essere un grande affabulatore e raccontatore. È stato come un vecchio zio di Sicilia, affettuoso e divertente, della cui terra ha raccontato la sensualità, il cibo, sempre capace di dare consigli o di fare una battuta, una persona che sapevi essere sempre disponibile.
Dopo Bufalino, Sciascia e Consolo, negli anni novanta con Camilleri si assiste ad un’esplosione della scrittura siciliana e gli editori iniziano sempre più a cercare scrittori siciliani che trovano così un percorso “agevolato”.
La lingua di Camilleri è un italiano bastardo, una lingua inventata dove il dialetto si smussa e diviene comprensibile solo attraverso il contesto. E fa impressione che lo scrittore più letto in Italia non abbia scritto in italiano: ha inventato una lingua e ha costruito un pubblico e in tutta Italia ormai si sente dire “cabasisi” o altre espressioni simili che un tempo occorreva spiegare. Ma lui non si limita a scrivere in dialetto, operazione che aveva fatto già Martoglio, Capuana e lo stesso Pirandello con "Liolà" e "Il Berretto a sonagli". Camilleri comprese che occorreva un dialetto diverso, impastato come oggi di italiano e lo trasforma in una lingua nuova che risultò sicuramente un valore aggiunto, un’invenzione irripetibile in quanto nessun altro avrebbe potuto scrivere a quel modo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ricordando Camilleri con Gaetano Savatteri: note di un incontro con i lettori
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