Rubè
- Autore: Giuseppe Antonio Borgese
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2020
Nella narrativa il nome di Giuseppe Antonio Borgese è legato soprattutto al romanzo Rubè (Mondadori, 2020, collana Oscar), pubblicato per la prima volta da Treves nel 1921. Un romanzo psicologico, malgrado lo spazio riservato alla Storia, che fu accolto con riserve da pubblico e addetti ai lavori.
Il narratore esterno onnisciente ci presenta il protagonista Filippo Rubè all’età di trent’anni: quella dei bilanci e questa è la sua storia. Giovane ambizioso, giunto a Roma da un paesino siciliano, sogna di affermarsi nel campo dell’avvocatura.
Capacità oratoria e fiducia in se stesso non gli fanno difetto. Invece, suggestionato dall’interventismo marinettiano e dannunziano, si arruola volontario nel primo conflitto, anche se a spingerlo davvero è un rovello interiore che lo accompagnerà con un climax ascendente nell’intera vicenda. Il bisogno di colmare il vuoto spirituale che lo affligge, nella speranza che la guerra diventi la sua medicina. Di contro della guerra conosce l’orrore, l’umiliazione di sapersi vile, perché al fronte ha conosciuto la paura e una profonda ferita. A questo punto il lettore ha di fronte uno degli inetti – fiacchi, velleitari, dubbiosi - che popolano la galleria dei romanzi novecenteschi? Forse che sì, forse che no. Perché Rubè è un inetto sui generis per una marcata componente nevrotica e depressiva che progressivamente lo paralizza.
Il motivo della guerra, tra slancio interventista, sola igiene del mondo e sbocco superomistico, si intreccia con quello amoroso.
Il protagonista avvia una relazione con la figlia del maggiore Berti, di nome Eugenia. Conosciamo il mondo interiore dei due fidanzati attraverso un carteggio. Da un lato il protagonista non riesce ad appagare la sua inquietudine esistenziale, dall’altro la giovane Eugenia può offrire una mite bellezza e una devozione sponsale assoluta.
Tanto che il loro legame è sabotato in partenza dall’incomprensione emotiva. Nel primo dopoguerra il suo senso di vuoto, lo stesso di tanti reduci, è destinato a peggiorare. Filippo si trasferisce per lavoro a Milano, ma non riesce ad adattarsi a una vita normale, che nel frattempo vacilla economicamente. La prospettiva di diventare padre lo getta nello sconforto. E mentre sullo sfondo i tempi cambiano tra disordini di piazza, violenze, l’ascesa del fascismo, il protagonista è sempre più smarrito nella crisi della società a lui contemporanea.
A questo punto il romanzo fa un cambio di passo importante. Infatti alla regia della “Storia” subentra la regia del “Caso”. Filippo vince in una bisca clandestina una somma consistente che determina nuovi eventi e spostamenti. Fugge da Milano alla volta di Parigi; fa tappa a Stresa dove incontra la giovane e affascinante moglie Celestina di un generale, che aveva precedentemente conosciuto nella capitale francese. I due intrecciano una relazione clandestina, scandita da passione, amore e morte. L’integrità dell’io del protagonista – accusato ingiustamente di omicidio – deraglia imboccando una strada senza uscita. Infatti viene accusato della morte della conturbante Celestina, in realtà vittima di un incidente, durante una gita romantica nell’incanto del lago Maggiore.
Straziato dal dolore, dopo febbrili vagabondaggi e sempre meno compos sui, a Bologna si imbatte in un corteo di dimostranti socialisti. Ironia della sorte, trovandosi per caso in prima fila, viene travolto dalla carica della polizia a cavallo. Si spegnerà di lì a poco tra le braccia di Eugenia. La sua morte non ha nulla di eroico: si è trovato per caso nel momento e nel posto sbagliati
Sintetizziamo la parabola di quest’uomo senza qualità o di un superuomo mancato.
Filippo Rubé si trasferisce nella capitale, convinto di diventare un principe del foro. Abbraccia l’interventismo per rispondere a un’intima necessità più psicologica che politica. Anche il matrimonio è da lui vissuto in modo fallimentare. L’esperienza bellica peggiora la sua depressione, con l’aggravante di dissesti finanziari, della consapevolezza della propria inettitudine e vigliaccheria. Spaventato e attratto dal fascismo, quest’uomo irrisolto e velleitario spera di dare una svolta alla propria vita con una grossa vincita. Conoscerà la passione dei sensi, l’infamia di un processo e una morte prematura senza senso, come tutta la sua vita.
Rubè: la lingua e lo stile
L’andamento enfatico di matrice dannunziana rende faticosa la lettura, appesantita da un’aggettivazione sovrabbondante. La tecnica del narratore onnisciente si alterna con il discorso indiretto libero e il monologo interiore in relazione all’autoanalisi del protagonista, sempre più perso, straniato, in difficoltà con se stesso e il prossimo. Perché si afferma prepotente nell’epilogo la sua perdita di identità e la paralisi della volontà. A tal proposito il De Maria rileva l’alta frequenza della metafora della palude.
Rubè: un protagonista itinerante
Rubè si ferma in luoghi provvisori secondo un iter di romanzo di formazione rovesciato. L’ultima tappa del suo vagabondaggio esistenziale è la perdita della propria identità. L’epilogo senza un perché chiude una vita dedicata velleitaristicamente alla ricerca di un perché.
Il dato che salta all’occhio nella complessità della trama è che il protagonista è sempre in movimento, nella maggior parte dei casi per scelta e senza una ragione, un motivo scatenante. Questo vagabondaggio è ben diverso dal podismo fisico e mentale di Renzo che culmina con la sua maturazione come uomo e come cristiano. Mentre l’altro inetto per eccellenza, Mattia Pascal, (con cui condivide la vincita al gioco) non possiede il velleitarismo di Rubè, ma una tragica consapevolezza esistenziale che prende forma in corso d’opera. Tanto che nell’epilogo paradossale Mattia il suo posto nel mondo lo trova come bibliotecario.
Analogamente il Moscarda di Pirandello trova la sua pace nella follia. Passando agli inetti sveviani, il Brentani almeno nell’amore ci crede. E quanta ironia separa il nevrotico Rubè da Zeno Cosini a lui contemporaneo. Anche Zeno è nevrotico, avviluppato nella spirale del tabagismo da cui non vuole liberarsi, ma almeno ti strappa un bel sorriso!
Giuseppe Antonio Borgese: un intellettuale da valorizzare
Giuseppe Antonio Borgese nacque in provincia di Palermo nel 1882 e morì a Fiesole nel 1952. È uno degli intellettuali meno conosciuti e più significativi del primo Novecento, come dimostra la sua poliedrica attività. Eppure nelle antologie continua a rimanere in disparte. Scrive per Il Mattino di Napoli, La Stampa di Torino, Il Corriere della Sera di Milano.
È docente universitario di Letteratura tedesca e di Estetica, conosce realtà culturali straniere anche perché sposa in seconde nozze Elisabeth Mann, figlia del grande scrittore. Un matrimonio allietato da due pargoli, malgrado 36 anni di differenza. Quando nel 1939 si sposano lui ha 57 anni, lei 21. La sua attività alterna giornalismo, scrittura e critica. Alla fine degli anni Venti viene espulso per antifascismo dalla cattedra di Estetica all’Università di Milano, ripara e insegna negli Stati Uniti.
Rubè
Amazon.it: 12,34 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Rubè
Lascia il tuo commento