Ruggine americana
- Autore: Philipp Meyer
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2010
Philipp Meyer è un astro nascente nella già popolosa costellazione di scrittori americani contemporanei. Incluso nella prestigiosa lista del 2010 del New Yorker denominata “20 under 40”, Meyer si è distinto grazie al suo romanzo d’esordio, “Ruggine Americana” (Einaudi, 2010) nel quale sono incappata per caso, leggendone una recensione.
Il corposo romanzo (424 pagine) colpisce e lascia davvero il segno. Inizio dalla trama, senza dubbio avvincente: due amici, Isaac e Billy, pressoché ventenni, disadattati e totalmente diversi tra loro, incappano in una serie di eventi imprevedibili che li dividerà e li porterà su binari completamente diversi. Il tutto si svolge nell’arco di una decida di giorni a Buell, in Pennsylvania, antica sede di vecchie acciaierie e ora un paesino vuoto, verdeggiante e arrugginito allo stesso tempo, come i suoi stessi abitanti, controversi e disillusi sognatori che si ritrovano faccia a faccia con la disoccupazione e la loro miseria quotidiana:
“C’era qualcosa di tipicamente americano nell’incolpare se stessi della propria sfortuna, quel non credere che la propria vita risentisse dei fenomeni sociali, la tendenza ad attribuire i grandi problemi al comportamento individuale.”
Meyer mostra senza rancore né particolare disagio il sogno americano andato in mille pezzi: la crisi industriale ha inevitabilmente trascinato nel baratro anche le vite dei lavoratori, delle loro famiglie, e persino deformato e abbruttito la natura, ingombrandola di inutili scheletri industriali:
“Hai voglia di credere ancora nell’America, lo sapevano tutti che Germania e Giappone producevano la stessa quantità di acciaio degli americani, ed erano due paesi grandi più o meno come la Pennsylvania”.
Altra particolarità: il romanzo è suddiviso in sei libri e ogni capitolo è raccontato da un personaggio diverso, una sorta di moderna narrazione corale che richiama il connazionale Jonathan Franzen ne “Le correzioni”. I personaggi sono descritti, pertanto, sia tramite le loro azioni (talvolta assurde e talvolta logiche ma tristemente incomprese) che tramite lo sguardo degli altri protagonisti; tra questi ultimi si trova proprio di tutto:
- Lee, la sorella di Isaac, con un Q.I. fuori dalla media che si sposa e fugge a Yale per allontanarsi dall’imbarazzo di avere un padre infermo e una madre suicida;
- Grace, la madre di Billy, sarta povera con l’artrosi, che tra i vari amanti si lega proprio al poliziotto che arresta il figlio e che “si dimentica” spesso di mangiare e di lavarsi;
- Harris, il poliziotto perbenista un po’ corrotto e un po’ salvatore della bontà del genere umano
e altro ancora.
Lo scrittore del Maryland dà particolare importanza al significato delle azioni e delle relative conseguenze, a discapito delle buone intenzioni, in quanto
“se deve andare storta a qualcuno sta’ sicuro che tocca a te, però non è stata solo sfortuna, aveva avuto mille occasioni per evitarlo, e non ne aveva sfruttata neanche una”.
La ruggine, quindi, come una polvere sporca e infetta, rimane incollata su tutto e su tutti, persino sul lettore che si ritrova, a lettura ultimata, a ripensare ad un romanzo dai toni ruvidi, talvolta scurrili, ma crudelmente realistico ed avvincente.
Ruggine americana
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