Rumani tô cuntu
- Autore: Franca Cavallo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2008
Sotto il suggestivo titolo "Rumani tô cuntu" (Modica, Itinerarium editrice 2008), Franca Cavallo riunisce, con un’interessante introduzione di Domenico Pisana, 64 componimenti poetici di un singolare percorso che, tra familiarità e ritualità, culmina nel mitico e nel meditativo. Da un lato, la parola si apre a un microcosmo di rimembranze lariche e demologiche, dall’altro, all’insegna del tempo che, nella sua inarrestabile corsa, travolge ogni frammento di vita, il verso distesamente mostra un consuntivo dove a prevalere sono i disincanti. Ed è qui che la riflessione si fa venata di malinconia, essendo ormai sfuggita di mano la favola dell’infanzia. L’affresco, diversificato in questi aspetti, e il modulo stilistico, palpitante nella fluidità di suoni antichi e presenti, sono perciò complessi. La procedura stilistica si fa canto, raccoglie echi e ricordi, esclude zone opache. Allora l’assenza si trasforma in presenza, in virtù d’una carica di energia che misuratamente però, e con sguardo vigile, dà linfa all’ombra presente nell’animo, in fondo, di ciascuno, a prescindere dal luogo di appartenenza. Il calendario è il buco grigio, ma non può cancellare il sortilegio della memoria, la Mnemòsine amatissima dai greci che l’avevano considerata come madre delle nove Muse. La poesia d’apertura "E cantu" è una sorta di manifesto letterario in cui si estrinseca, per così dire, l’intento simbolico-evocativo. Il “paese”, il “dialetto”, gli affetti, gli usi e i costumi, dunque: siamo nella poetica del “luogo” che, per molti aspetti, può collegarsi con la scrittura di Bufalino in Museo d’ombre.
La similitudine tra il viandante accaldato che ha sete d’acqua fresca di sorgente e il poeta che si abbevera alla fonte del passato è abbastanza accattivante, perché fa leva sulla particolare disposizione dell’animo che sa togliere ogni distanza. In sostanza, Franca Cavallo organizza il suo percorso, mettendo a fuoco nella dimensione della connotazione il complesso concetto di identità collettiva: la consapevolezza, cioè di esistere con i propri pensieri e sentimenti in una fitta trama di luoghi ed eventi. Si tratta di un bisogno che si risolve nei confini dell’etnia oppure si inscrive in un’esigenza universale? Profonde sono le ragioni per le quali si vuole ancorare l’ “esserci”, direbbe Borges, alla “scienza certa” espressa dalla genuinità del dialetto. E fa bene Franca Cavallo a riproporre il mondo della provincia per sottrarlo al naufragio nel mare della dimenticanza, dove a prevalere sembra essere l’anonimato della cattiva globalizzazione. A testimonianza dell’esigenza di recuperare le ricchezze esperenziali d’un tempo, viene in mente di Antonio Skàrmeta "Il postino di Neruda", dove il poeta cileno, lontano dalla sua terra natia, chiede ad un giovane amico di registrargli dei suoni familiari. L’episodio, che fa toccare con mano l’afasia di Neruda non più vicino al suo mondo di affetti, si adatta bene all’universo della nostra poetessa, in cui vibrano forti legami antropologici che fanno lievitare la memoria sommersa. Ad impreziosire il suo libro è l’apparato iconografico: fotografie in bianco e nero, situate in corrispondenza alla lirica che ciascuna di esse intende raffigurare, sono eloquenti. Volti, gesti, momenti di folclore, spazi aggregativi, scorci paesaggistici sono parte integrante di questa ricerca sull’essenza delle “cose” che appartiene anche al territorio, alla comunità, alla popolazione.
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