Sacha Naspini nasce a Grosseto nel 1976. Molti i riconoscimenti ottenuti in prestigiosi concorsi letterari: vincitore del premio nazionale “Canossa – Città di Bazzano” con il racconto “La vita comincia a quarant’anni”; segnalato al premio “Licurgo Cappelletti” con il racconto “I ragni”; tra i vincitori del “Premio Boccardi” con il racconto “Serenity Garden”; finalista nel 2004 al premio internazionale “Massimo Troisi” con la favola villana “Marito mio!”. Nel marzo 2006 pubblica il suo romanzo d’esordio “L’ingrato” per la casa editrice Effequ. A novembre dello stesso anno esce il tascabile "Il risultato" (Magnetica edizioni). L’anno successivo è la volta de “I sassi” per le edizioni Il foglio. A fine 2008 esce nel circuito delle edicole “Diario di un serial killer” che in soli 2 mesi supera le 3000 copie vendute. Ad aprile 2009, freschissimo di stampa, "Never alone", per la neonata casa editrice Voras.
Sacha, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: Art e Ruben, i protagonisti del tuo ultimo libro “Never alone”, sono due adolescenti legati da un affetto quasi morboso, convinti di avere il mondo tra le mani, convinzione comune a tutti gli adolescenti. Perché Art e Ruben, invece, sono tutt’altro che normali adolescenti?
Ciao, e grazie per questa bella opportunità. Art e Ruben. In “Never alone” cerco di mettere in evidenza gli effetti di una “solitudine forzata”, vissuta in quell’età di mezzo che è l’adolescenza, fase delicata. Ho cercato – limitandomi alla pura cronaca narrativa – di raccontare cosa succede quando l’emarginazione incontra la devianza di una personalità di per sé “minata”. Art e Ruben sono esclusi dal mondo dell’adolescenza, come a volte capita: non hanno altri amici, sono costantemente presi di mira dai bulletti che fanno banda, vivono il rapporto con l’altro sesso di nascosto – e non è che in famiglia vada meglio. La dualità dei due personaggi è combattuta, Art desidera crescere, evolversi, lasciare alle spalle la sua vita che sembra ristagnare tra la scuola e camera sua; mentre a Ruben in fondo va bene così, alla fine si accontenta, il suo unico obiettivo è salvaguardare la culla d’ovatta in cui l’unica cosa che deve succedere, è la semplice routine quotidiana. Un bel giorno – e siamo alle prime pagine della storia – Art si presenta a scuola con una pistola. Chiede al suo amico se per caso ha intenzione di sentire cosa si prova ad andare in giro con un affare del genere addosso.
- Seconda chiacchiera: Sei uno scrittore dalla rara duttilità, ma hai dimostrato di avere una particolare predilezione per il thriller. A dicembre è uscito in tutte le edicole “Diario di un serial killer”. Il protagonista è Il messaggero, una specie di paladino che uccide per disinfestare l’umanità dai parassiti che praticano l’inganno. Non trovi sia pericoloso dare all’omicidio una connotazione buona e giusta?
Purtroppo devo dire che non è così: il thriller mi appassiona, ma entro una certa misura. “Diario di un serial killer” è stata un’esperienza anomala, seppur costruttiva, a suo modo. Attraverso un giro di mail entrai in contatto con Sered, che era ai primi numeri e cercava materiale. Da qualche parte avevo la bozza di questo romanzo dal titolo “L’effetto Kirlian”, una storia che cercava di affrontare questa piccola battaglia che c’è in atto negli ambienti scientifici, riguardo ad alcune branchie del paranormale. La storia, per come l’avevo pensata in origine, era praticamente un’altra, Sered aveva comunque l’esigenza di adattarla per un mercato ampio, e alla fine – seppur con molte riserve – ho accettato; ammetto che l’idea del compenso che mi veniva proposto ha fatto la sua parte. Ho riscritto gran parte del plot tenendo presenti i rigidissimi margini – “popolari, da edicola”, venivano definiti così – che l’editore aveva stabilito, e quello che è andato alle stampe è stato tutto un altro libro, in cui di mio era rimasto forse un sessanta per cento. Con questo voglio dire che per me, la parte “nera” – nera, non noir – di una storia interessa molto. Mi riferisco a tutto ciò che nell’ambito di una qualsiasi forma di devianza, può raccontare l’umano, con le sue ricchezze e le sue profonde povertà e disperazioni. Non sono un amante di genere – qualsiasi genere stretto. Da lettore non ho nessun problema, butto giù di tutto, ma quando mi metto a scrivere è un’altra cosa. “I sassi”, per esempio, è spesso identificato come noir, appunto, ma solo perché si parla – tra le altre cose – di pistole e ambienti di ricettazione. Insomma, per brevità, uno dice che “I sassi” è un noir, anche per via dei toni, forse, ma essenzialmente resta un lavoro di narrativa pura. Comunque, riprendendo la domanda, la mia risposta è ovviamente no: non ci vedo niente di pericoloso, in un racconto, nel dare all’omicidio una connotazione buona e giusta. L’importante è che sia tutto orchestrato e in perfetta simbiosi con il senso della storia – non mi riferisco a messaggi particolari eccetera, intendo l’architettura e l’obiettivo principe che uno ha in testa. E che naturalmente non sia gratuito, tanto per “scioccare”. Insomma, per me è importante non mancare di umanità – non mi riferisco esclusivamente all’accezione buona del termine –, poi può succedere di tutto.
- Terza chiacchiera: Effequ, Il foglio, Historica, Sered, fino all’ultimissima casa editrice Voras. Per quasi tutte le tue pubblicazioni hai scelto un editore diverso dal precedente. Perché? Non hai ancora trovato un editore che rappresenti in pieno le tue esigenze?
Non saprei. Diciamo che alcune pubblicazioni me le sono cercate (Effequ, Il foglio), mentre altre sono venute a cercarmi. Ho già detto di Sered. Per Voras è andata più o meno così: circa un anno fa sono stato contatto prima dallo scrittore Massimo Padua, e successivamente da Stefano Grugni, l’attuale direttore editoriale. Mi parlarono del progetto della casa editrice, e ovviamente stavano vagliando materiale per le prime pubblicazioni, e io avevo qualcosa per le mani? In questi casi non sono quasi mai sguarnito, e risposi che sì, avevo appena finito la bozza di una nuova storia, così gliela inviai. È piaciuta, ed è diventata il primo romanzo di Voras. Per Historica lo stesso, apre la collana Short-Cuts e mi viene chiesto se ho qualcosa. Lì non ce l’avevo, ma gliel’ho scritta in un paio di settimane. Dovrebbe uscire a giugno, si intitola “Cento per cento”, è una lunga intervista esclusiva al più volte campione del mondo di boxe Dino Carrisi. Là dentro ci ho buttato tutto quello che significa per me il mondo del pugilato, mi ci sono divertito un sacco. Per il resto sì, mi piacerebbe avere alle spalle una bella realtà editoriale con la quale studiare i progetti e i loro lanci. Per il momento, Il foglio e Voras sono le edizioni che mi sono più vicine, lavoro benissimo con loro. Ma c’è qualche novità, di cui al momento non posso dire molto, se tutto va bene proprio in questa settimana dovrebbero decidersi le firme. Nel caso, dico solo che entrerei a far parte di una bella scuderia, seguito da superprofessionisti del settore eccetera, e l’idea di pensare solo a scrivere potrebbe cominciare a farsi più concreta.
- Quarta chiacchiera: Non molti sanno che sei anche il front man di una band musicale, i Vaderrando, al loro secondo album in uscita. Raccontaci un po’ la tua esperienza di scrittore-cantante.
La musica è stata – lo è – una bella digressione che mi porto dietro da sempre. Attorno ai quattordici anni scoprii insieme a un amico che potevo incastrare in mezzo a degli accordi messi in croce, delle parole, e per un bel pezzo non ho smesso più. Con questo voglio dire che, indipendentemente da studi musicali eccetera, forse ciò che mi ha sempre affamato, nella musica, era l’idea di scriverci sopra, tentare di amplificare le parole con arrangiamenti e suoni adeguati. È stata una bella lotta, negli anni, soprattutto per riuscire a scovare le persone giuste, ovvero quei musicisti con cui fare squadra, che se ne fregano abbastanza delle cover e che potessero anche minimamente credere che si può fare qualcosa di originale, dal niente. Ho fatto scorta di sorrisini ambigui e tutto il resto; metterti là e suonare un pezzo tuo invece degli U2, per dirne uno, per dimostrare che li sai fare “uguali uguali”, non era facile, specie se si parla delle province. Poi è venuto il primo disco, e qualcosa ha cominciato a cambiare. Adesso c’è il secondo progetto, praticamente pronto ma che per il momento se ne sta lì, non ho veramente tempo per seguire anche quello. Dopo il lavoro di grafico e le ore che do alla scrittura, mi avanza pochissimo per prove, lanci, concerti. E poi mettici qualche viaggio a cui, quando c’è disponibilità, proprio non riesco a rinunciare. Al momento va bene così, ma sto cercando di trovare un modo per coniugare le due cose, scrittura e musica, soprattutto per eventuali presentazioni/concerto. Qualche idea c’è, vediamo che succede.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il mio invito. Un grandissimo in bocca al lupo per la tua nuova avventura con Voras e se hai un messaggio da lanciare al mondo intero, qui puoi farlo.
Grazie a te! Il mio grido, da gattino, è solo uno: sosteniamo sempre l’editoria seria, indipendente e di progetto. E abbasso i volponi, ce ne sono tanti.
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Vorrei chiedere a Sacha se sa il significato del videoclip della canzone Le vent vous portera dei Noir Desire.
Grazie
Elena