Salutiamo, amico
- Autore: Gianfrancesco Turano
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2020
Come in Contrada Armacà del 2014, Gianfrancesco Turano predilige la descrizione dei luoghi, dei modi di dire caratteristici, delle tradizioni locali, delle usanze dell’epoca per costruire la sceneggiatura di storie nella storia. In questo caso la storia è quella dei Moti di Reggio e la narrazione si basa sul racconto epistolare e sulla scrittura del diario in prima persona da parte di alcuni dei personaggi del libro.
Storie di uomini, storie di ragazzi già uomini, storie di donne vittime consapevoli, storie di fatti più o meno noti, che si incrociano, si intrecciano disegnando destini singoli, destini familiari, destini collettivi. Storie di persone che diventano protagoniste, quasi inconsapevoli, di ciò che decenni più tardi darà vita (o ne sarà parte) e che verrà classificato come il sistema della masso-mafia, dell’eversione soprattutto nera, della malapolitica, della trattativa Stato-Mafia. Salutiamo, amico è un ritorno al passato che in maniera avvincente ci proietta nel sistema sociale dell’epoca in cui si confondevano, in quanto accomunate da un unico (in apparenza) obiettivo, ossia “Reggio capoluogo”, la lotta di classe, la lotta politica tra i rossi moderati ed estremisti, tra i neri moderati ed estremisti, tra rossi e neri, tra movimenti autonomi e movimenti politicizzati, tra gruppi di ‘ndrangheta. Quando l’obiettivo di alcuni, ma non di tutti, di ottenere “Reggio Capoluogo” svanì a discapito dell’ideologia e del patriottismo locale sostenuto fino alla fine dai “boia chi molla” del popolo barricadero, la merce di scambio per una “pace civile” suggellata dalle cosche, furono i soldi: immensi capitali dallo Stato centrale per l’inutile utopia industriale, che offrì lavoro e soprattutto ingenti capitali e potere a mafia e politica. Il “sistema” di allora è da intendere come un’anteprima di quel sistema sociale e politico di oggi, del quale grazie a Turano e ai suoi romanzi storici comprendiamo la genesi o addirittura le cause della sua disgregazione attuale.
In Salutiamo, amico così come in Contrada Armacà, gli intrecci, gli intrighi tra Stato e Antistato, tra colletti bianchi e ‘ndrine, tra forze eversive e istituzioni più o meno deviate, vengono percepiti e vissuti in maniera diretta o indiretta e in maniera differente dai personaggi della storia, ricca di scene e fatti reali e verosimili. Personaggi di varia umanità che vivono in uno stato surreale prima di tensione e poi di vera guerra civile tra il 1969 e il 1971: uomini del tessuto mafioso costituito da generazioni diverse con mentalità contrapposte, imprenditori, colletti bianchi e politici, adolescenti vivaci e attenti, donne con la loro sagace introspettività, forze dell’ordine di varia estrazione e missione.
Emerge comunque la trasversalità e l’influenza permeante della mafia, così come la normale ferocia senza sconti della ‘ndrangheta e delle regole mafiose da rispettare, in un momento storico definibile come il “big bang”, il “brodo primordiale” in cui tutti gli elementi di base, organici e inorganici, danno vita a quello che sarà il nuovo e moderno volto dell’Onorata Società, che si trasforma in Santa e che si apre al sistema imprenditoriale-masso-politico-mafioso, inaugurato con le prove generali del fallito colpo di stato dell’8 dicembre 1970 organizzato dal “principe nero” Borghese con i suoi “compari” di lotta, anche reggini; alcuni tutt’oggi viventi e in piena attività, tra un’aula di tribunale e il carcere, insieme ai loro protetti ed eredi, politici di spicco, giovani e rampanti.
“È ordinaria amministrazione e il Sud sarà una dittatura del crimine” scrive Turano offrendo l’interpretazione del pensiero di uno dei vinti della nostra storia, ovvero Giovanni, il giovane e sempre più disilluso carabiniere, stritolato lentamente dal sistema della collusione tra Servizi e ‘Ndrangheta. Anch’egli tra le vittime del sistema. Una sorta di “ciclo dei vinti” quello di Turano, che annovera tutti i protagonisti che prendono vita nelle storie che si intersecano a partire dagli anni ’50. Nunzio e Luciano, I due amici di sangue tredicenni, in realtà fratellastri, che si scambiano lettere più o meno sgrammaticate (stile “Io speriamo che me la cavo”) nelle quali raccontano la loro vita durante i moti ma anche i fatti di famiglia, anche i più gravi e cruenti, collegati ai loro genitori e familiari, reali e presunti, legati e intranei al “sistema deviato” dell’epoca. L’innocenza degli adolescenti viene scalfita come in ogni scenario di guerra; giovanissimi che al posto dei Ragazzi della via Pal leggono vivendole, quasi fosse un gioco, le avventure della barricata, tra molotov, manganellate, incendi e omicidi, rapporti con i Servizi, summit di ‘ndrangheta, tentati omicidi e i tradimenti di ogni tipo.
Amedeo, diavolo fulvo e soprattutto anima nera, mafioso moderno e colluso, che fa soffrire chi ne è plagiato o vittima e che finisce male come ogni ‘ndranghetista che si rispetti, tradito dal suo migliore sodale nel momento dell’ascesa verso la nuova ‘ndrangheta prontissima a bloccare i Moti per lanciarsi sugli appalti milionari. Sua moglie Giuseppina, madre reale del buon Luciano e finta madre del “barricadero” Nunzio, la cui madre reale è Rosalba, la bella e sensuale “prof” da sempre soggiogata ai voleri e alle voglie di Amedeo, da cui ha avuto anche gli altri due figli e per volere del quale furono scambiati i bambini nati lo stesso giorno, in quanto Luciano sembrava non avere speranze di vita. Il tutto nell’assoluto silenzio del marito, l’ingegnere Stranges, appaltatore e colletto bianco, inerme e consapevole pedina, egoista e noto voyeur, forse impotente, soggiogato dall’amico di infanzia e socio in affari Amedeo. Fu la sua famiglia a adottarlo e a sfamarlo… dopo avergli ucciso il padre pastore, quando si chiamava Rocco, molto prima di diventare “il Giampaolo” l’ingegnere “milanese” grazie alla stessa famiglia adottiva e assassina. Un imprenditore spietato e traditore, che non si oppone nemmeno al tentativo di uccidere con l’attentato al tritolo Rosalba, in collaborazione con Amedeo, perché colpevole del tradimento col più giovane Giovanni, lo sbirro che le diede una ventata di energia e la voglia di riprendere in mano la sua vita, ormai sbiadita e troppo piena di segreti e compromessi indicibili.
Nemmeno i nonni materni dei due giovani protagonisti sono esenti dall’essere parte del “sistema”: uno mafioso di altra epoca, che non tollera la transizione verso la nuova ‘ndrangheta, e l’altro, nobile massone e legato ai Servizi e alla politica, disincantato decisore dei destini altrui.
Si incrociano a lungo le lettere di Luciano e Nunzio. Quest’ultimo è testimone della quotidianità dei rivoltosi ma anche di importanti summit ed incontri mafiosi ed eversivi, in un crescendo che lo porterà anche a uccidere e a fuggire alla fine con Luciano. Non si sa se per diventare da grandi, due vinti o due vincenti, dentro quel “sistema” più grande di loro, da cui è difficile salvarsi.
Un sistema di “cleptocrazia” che vede nei Moti la regia condivisa, dalle barricate fino alla strategia più alta, tra clan, logge, politica, destre e sinistre di varia estrazione e con obiettivi eterogenei, in uno scenario che, incredibilmente, nasconde gli interessi molto più vasti della guerra fredda tra USA e URSS addirittura, con la complicità dei Servizi, della nuova ‘Ndrangheta locale emergente, che nasce proprio con i Moti, anzi con i miliardi giunti dopo i Moti (il pacchetto Colombo), e che diventerà quella che è oggi, ovvero il più potente network politico-mafioso del mondo.
Personaggi di allora, descritti da Turano, che ritroviamo nella realtà anche negli arresti del 2016 e che i pentiti descrivono come alleati di politica, massoneria e ‘ndrangheta a conferma di quella parabola pluriennale e inquietante del patto d’acciaio tra mafia, servizi segreti e apparati dello Stato e militari, deviati e non, le cui azioni si confondono nei fatti, come gli attentati ferroviari pseudo-terroristici, figli di un’antesignana strategia della tensione o come il fenomeno della mafia che presta denaro laddove manca ai tempi dei Moti, sostituendosi alle istituzioni e ricevendo consensi sempre più larghi.
La borghesia reggina e la politica, durante i Moti, attribuirono erroneamente alle cosche il ruolo arcaico della “guardianìa” per il buon esito della rivolta, fino alla gestione armata e al controllo delle barricate. La mafia divenne invece il padrone assoluto del territorio da lì a poco, grazie a fiumi di miliardi e di appalti, lasciando la “gloria” effimera dei Moti ai politici e ai loro risultati elettorali successivi: soprattutto a comunisti e democristiani e solo in parte alle destre; tutti recuperarono consensi.
Reggio Calabria, dal 1969 al 1971 e subito dopo, diventa caput mundi, come già anticipava Turano in Contrada Armacà, libro che può essere inteso come la prosecuzione di Salutiamo, amico, anche se pubblicato prima. Sarà invece il Porto di Gioia Tauro a diventare centro nevralgico per i più importanti Servizi segreti del mondo e per i commerci illeciti internazionali delle mafie. Una convivenza da tutti conosciuta e tollerata, che nasce secondo Turano con e dopo i Moti, parallelamente alla nascita della Santa, fulcro dell’antistato di cui però lo Stato, a vario titolo, si sarebbe servito, con e senza “patti”. Allora come oggi.
Salutiamo, amico
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