Sarabanda di Ingmar Bergman

Abbiamo incontrato Johan e Marianne negli anni ’70, protagonisti di quel "Scene di vita coniugale" che aveva originato il capolavoro cinematografico bergmaniano "Scene da un matrimonio". Nell’ultima parte di quella storia già Johan e Marianne si erano separati da alcuni anni e li ritroviamo qui nella prima scena di "Sarabanda", a distanza di qualche decennio.

"Sarabanda" è declinato in dieci scene, precedute da un prologo e seguite da un epilogo. Ciascuna scena rappresenta un dialogo rigorosamente tra due personaggi dei quattro che animano l’intreccio. In aggiunta a Johan e Marianne, infatti, troviamo Henrik, figlio di primo letto di Johan oltre a Karin, a sua volta figlia di Henrik.

Nelle prime sei scene la progressione dei dialoghi di ciascuna coppia di personaggi rasenta la perfezione stilistica e strutturale: ogni personaggio incontra "privatamente" ogni altro personaggio. Combinatoriamente quattro personaggi possono incontrarsi a due esattamente in sei diversi modi.
La "sarabanda", che dà il titolo al dramma, è una danza piuttosto lenta e malinconica, dai tratti moderatamente severi, che sovente popola una "suite" classica.
Nell’ottava scena, la seconda "privata" tra Henrik e Karin (e -significativamente- l’ultima in cui i due personaggi compaiono, prima che il cerchio narrativo si stringa attorno a Johan e Marianne, in modo risolutivo), l’atto di addio della figlia nei confronti del padre è l’esecuzione -appunto- della sarabanda contenuta nella Suite n.5 in do minore per violoncello (a catalogo BWV 1011) di Bach.

A differenza del già citato "Scene di vita coniugale", nel quale il plot era centrato quasi totalmente su marito e moglie, qui il focus principale è decisamente altrove e risiede nella commossa memoria che tutti i personaggi hanno di Anna, moglie di Henrik e madre di Karin, stroncata da un male incurabile due anni orsono.
È a questo punto che il dato biografico appare non irrilevante: "Sarabanda" è dedicato da Bergman alla moglie Ingrid, scomparsa dopo una penosa malattia, il cui straziante decorso è descritto dallo stesso Ingmar nel suo sofferto scritto "Tre diari".