Schiavi. Una storia mediterranea (XVI-XIX secolo)
- Autore: Salvatore Bono
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2021
Una storia taciuta a lungo dagli storici quella della schiavitù nel Mediterraneo, attraversato dalle rotte contrapposte delle flotte cristiane e di quelle barbaresche e ottomane. Solo lo storico francese Fernand Braudel l’ha trattata ampiamente a metà del ’900, prima dell’italiano Salvatore Bono, docente emerito di storia mediterranea dell’Università di Perugia, esperto di guerre corsare e autore in questo 2021 di Schiavi. Una storia mediterranea (XVI-XIX secolo), nella collana Storica paperbacks delle Edizioni il Mulino di Bologna (488 pagine).
Quando l’Occidente la racconta, ne oscura però una parte consistente. Lo ha denunciato Oriana Fallaci, in un passaggio dell’invettiva La rabbia e l’orgoglio, scritta dall’indimenticabile giornalista, scrittrice e straordinaria polemista sull’onda emotiva dell’attentato alle Torri Gemelle:
“A me non hanno mai chiesto scusa per i crimini che fino all’alba del 1800 hanno commesso lungo le coste della Toscana e nel Mare Tirreno, dove mi rapivano i nonni, gli mettevano le catene ai piedi e ai polsi e al collo, li portavano ad Algeri, Tunisi o in Turchia, li vendevano nei bazaar, li tenevano schiavi vita natural durante, gli tagliavano la gola ogni volta che tentavano di scappare”.
Bono corregge il tiro su quella storia e la rilegge per intero, senza nascondere niente sotto il tappeto. Inoltre il suo lavoro delinea per la prima volta un panorama della schiavitù anche al di là delle Alpi e sulle altre rive del bacino. Stima che nel periodo sotto esame, tra il Rinascimento e l’età napoleonica, siano stati coinvolti quattro-cinque milioni di europei e mediterranei: africani, turchi, arabi, italiani, tutti gli abitanti delle coste latine e balcaniche del vecchio continente e anche ungheresi, ucraini, russi bianchi, tedeschi, inglesi, olandesi, scandinavi.
Ecco, perciò, non solo la storia degli uomini e donne portati schiavi nei paesi islamici, dopo la cattura al grido “Mamma li turchi!”. Viene alla luce anche l’altro verso della medaglia, la prigionia di musulmani e africani nei paesi europei, di cui non esiste pressoché memoria, a parte singole eccezioni, come Leone l’Africano, il giovane marocchino dato in dono a papa Leone X de’ Medici e poi cristianizzato.
È una grande storia plurisecolare di esseri umani di qualunque età, di diverse e tante origini, accomunati dalla sorte d’essere caduti schiavi, da una parte e dall’altra del Mediterraneo o di esservi stati condotti per varie vicende. L’arco temporale parte dalla metà del Quattrocento e arriva ai primi dell’Ottocento. Per i neri d’Africa prosegue addirittura fino agli inizi del Novecento.
Non mancarono anche schiavi di altre etnie, vicine o lontane: ebrei da ogni dove, guanci delle Canarie, indios americani e altri ancora.
Dagli anni Quaranta del XV secolo, cominciarono ad arrivare schiavi neri dalla penisola iberica, trasportati dai portoghesi dalle coste occidentali africane. L’altra novità fu l’aprirsi, nei primi del Cinquecento, di un confronto lungo quasi un secolo tra la Spagna e suoi alleati con l’impero ottomano e il Maghreb. Nel quadro di questo incontro-scontro – nel quale ebbe un ruolo significativo la guerra corsara – entrambe le parti si diedero alla cattura e riduzione in schiavitù di uomini, donne e bambini.
Il complesso delle storie individuali e collettive dei soggiogati costituisce la schiavitù “mediterranea”, distinta rispetto ad altre sviluppate dalle società umane dalle età più antiche. Forme di schiavitù persistono anche oggi, ma non sono tollerate Considerate illegali e criminali dai governi della maggior parte dei Paesi, vengono perseguite dagli ordinamenti e condannate dall’opinione pubblica.
Tornando alla schiavitù in oggetto, la “mediterranea” ha compiuto il suo percorso storico contemporaneamente – e non senza qualche connessione – a quella atlantica, fenomeno ancora più ampio, dall’Africa nera al continente americano. C’erano difformità sostanziali, però: nel nostro bacino la tratta era reciproca, si catturava, commerciava e sfruttava schiavi da una sponda e dall’altra. Ulteriore differenza fondamentale, la reversibilità: non mancava la possibilità di recuperare la libertà, col ritorno in patria o l’integrazione nella comunità in cui si era finiti. Peraltro, non si trattava di società schiaviste ma di società “con schiavi”. Quella mediterranea non era una schiavitù di sistema, a differenza di altre.
Bono s’impegna a “guardare” le sofferenze, le speranze e, in pochi casi, le fortune di uomini e donne esposti e venduti nei mercati di schiavi di Aleppo o Cagliari, detenuti nelle fortezze d’Ungheria o nei bagni di Tripoli.
In definitiva, presente in non poche regioni del Mediterraneo e in varie forme presso svariate comunità, sia pure solo in determinate fasi del loro sviluppo, la schiavitù è stata praticata lungo tutta l’età medievale, ma dall’età moderna il fenomeno ha assunto caratteri diversi per i profondi mutamenti intervenuti nello spazio mediterraneo.
Si parla di una storia col mare nostrum come scenario centrale, ma le vicende si sono estese a uno spazio più ampio: il “mondo mediterraneo” di Braudel. E hanno coinvolto genti anche lontane dal grande mare interno.
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