Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio
- Autore: Amara Lakhous
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: E/O
- Anno di pubblicazione: 2006
Per Antonio Marini “L’ascensore è la barriera tra la barbarie e la civiltà! ”; per Parviz Mansoor Samadi è uno strumento di meditazione paragonabile alla vita, con i suoi alti e bassi; per il Gladiatore è un luogo come un altro dove orinare, mentre per Amedeo è una scatola claustrofobica da evitare. L’ascensore è la scena del crimine: il Gladiatore è morto e Amedeo è scomparso.
In "Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio" di Amara Lakhous, l’ascensore è il punto di partenza per indagare una realtà importante e attuale in Italia, in particolare nel quartiere di Piazza Vittorio a Roma, dove si assiste ad un vero e proprio incontro e scontro di civiltà che abitano uno stesso luogo.
Gli ululati, di dolore e felicità, di Amedeo si fanno spazio fra le verità dei protagonisti: squarci di vita che illuminano la stupidità dei pregiudizi.
Non tutti gli immigrati sognano l’Italia; c’è chi vorrebbe essere adottato dalla Lupa e chi ci si è trovato per forza di cose. Qualcuno decide di assorbire gli usi e costumi della Capitale e c’è chi, invece, cerca di difendere, nel paese straniero da sé, le proprie origini.
Ed ecco che l’esigenza di sentire il proprio nome pronunciato correttamente dagli altri rappresenta la tutela simbolica della propria identità.
“Ma poi chi è italiano? Chi è nato in Italia, ha passaporto italiano, carta d’identità, conosce bene la lingua, porta un nome italiano e risiede in Italia? Come vedete la questione è molto complessa.”
Parviz ha lavorato nei ristoranti di Roma con giovani napoletani, calabresi e sardi e si è reso conto che il loro livello linguistico era quasi lo stesso, ma viene licenziato di continuo ed è convinto che questo sia dovuto al suo odio per la pizza. La disoccupazione lo trascina ogni giorno più giù fino al fondo del bicchiere e anche oltre. Parviz è fuggito dallo Shiraz, è un rifugiato! Sfuggire alla morte, questo è stato il suo biglietto di partenza.
Johan, invece, è arrivato a Roma dall’Olanda per studiare cinema e questo non lo ha reso un bersaglio facile su cui vomitare pregiudizi, anzi, la sua esperienza è stata quella di avere un padre che lo ha messo in guardia dagli italiani, gente che ha inventato il catenaccio che
“non è solo un modulo difensivo del calcio, ma un modo di pensare e di vivere, frutto del sottosviluppo, della chiusura e della preclusione del lucchetto”.
Antonio non fa distinzione fra immigrati e gente del sud Italia, accusandoli di pigrizia e di vivere alla giornata mentre Stefania invece, apprezza e gode della bellezza di avere al suo fianco un uomo come Amedeo, desideroso di liberarsi dalle catene dell’identità.
“Chi sono io? Chi sei? Chi sono? Sono domande inutili e stupide.”
Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio
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