Se muore il Sud
- Autore: Sergio Rizzo Gian Antonio Stella
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2013
Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo non sono nuovi ai libri inchiesta su materie diverse attinenti il malcostume e la cattiva amministrazione della cosa pubblica, temi che costituiscono la cifra prevalente della loro pubblicistica, che ha avuto il massimo successo con La Casta.
In Se muore il Sud (Feltrinelli, 2013) concentrano la loro attenzione su mali del sud Italia che hanno cause e origini antiche, che i due autori non mancano di mettere in rilievo.
Nel libro, che ha il carattere di una vera e propria denuncia, si evidenziano le grandi risorse culturali presenti in Sicilia, non solo quelle più conosciute e frequentate, ma anche Mozia e Morgantina, che avrebbero bisogno di maggiore pubblicità per una più diffusa fruizione e valorizzazione.
Nei principali siti culturali manca del tutto qualsivoglia forma di sorveglianza e di vigilanza, cui si potrebbe supplire almeno con un’adeguata videosorveglianza, presente, ma del tutto inadeguata. Tutto questo porta a un progressivo depauperamento delle opere d’arte, che vengono sovente defraudate e portate all’estero.
L’Italia nel traffico delle opere d’arte risulta la nazione più colpita dal fenomeno, nonostante per l’opera di vigilanza siano a disposizione le risorse della Comunità europea, che non vengono utilizzate propriamente e interamente.
Durante il Regno Borbonico vi era una maggiore attenzione verso il patrimonio culturale, come pure per un altro versante: verso il mondo dell’industrializzazione, sebbene concentrata nelle grandi città.
A cominciare dall’Unità si assiste invece a un progressivo depauperamento e divario tra Nord e Sud, che prosegue anche nel ventennio fascista, come emerge dai dati della Banca d’Italia, che Rizzo illustra con dovizia di particolari.
Ma anche successivamente, nel secondo dopoguerra, nonostante le notevoli risorse messe a disposizione con la Cassa del Mezzogiorno, non si è riusciti a colmare il divario con il meridione e la Sicilia ai giorni nostri detiene il record delle opere pubbliche incompiute.
La maggior parte dei finanziamenti della legge n.488/1992 sono andati al nord, mentre in Sicilia le ferrovie sono ferme al 1920, nonostante i pluripagati manager e la privatizzazione. L’alta velocità ferroviaria si ferma al centro Italia e nuove infrastrutture si programmano e si realizzano solo al Nord, salvo eventi catastrofici quali terremoti, alluvioni, etc… che portano denaro e vantaggi solo nelle tasche di imprenditori e politici.
Non si tratta di luoghi comuni: la filosofia imperante è quella che l’opera pubblica non va completata, ma va “gestita”, altrimenti terminano i finanziamenti, che devono durare quanto più a lungo possibile, procedendo poi con varianti, modifiche, revisione prezzi, al solo scopo di allungare a dismisura i tempi di completamento dell’opera.
Ma a chi addebitare le “colpe” di tutto questo? Alla Università, alla Politica? Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo rilevano come vi siano corsi universitari frequentati da un solo studente e la maggior parte dei docenti abbia un’età superiore ai 35 anni e l’età massima consentita per l’insegnamento fissata a 67 anni viene considerata bassa.
Occorrerebbe abolire gli Ordini Professionali e si auspica inoltre una vera e propria guerra di liberazione delle intelligenze meridionali, iniziando dalla Scuola. Ma ricordando il pensiero di Pippo Fava, ci si accorge che sovente vi è una voglia di non cambiare che ha radici lontane. Con l’Unità d’Italia si tolsero le braccia all’agricoltura in ragione della coscrizione obbligatoria, provocando una crisi di quello che era allora l’asse portante dell’economia meridionale, facendo nascere un diffuso risentimento e una diffusa sfiducia ancora presente verso le Istituzioni.
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