Una delle opere più celebri della letteratura italiana, La Divina Commedia, è disseminata di insegnamenti preziosi, validi per gli uomini di ogni tempo.
Ricordiamo, tra l’altro, che i Maestri svolgono un ruolo fondamentale nell’orientare il cammino di Dante che, infatti, decide di farsi accompagnare da tre guide nel corso del suo viaggio nell’aldilà: la prima guida è Virgilio, che il Sommo Poeta presenta in questi termini “Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore” mostrando la propria totale ammirazione e anche il proprio debito nei confronti dell’opera virgiliana; segue poi Beatrice, guida spirituale e allegoria della Teologia; infine, San Bernardo, santo e mistico, che accompagnerà Dante nell’Empireo, ispirandogli la contemplazione necessaria per rivolgersi a Dio.
Ma tra queste guide ufficiali - che sono tre come il numero della Trinità - se ne muovono altre non ufficiali, rappresentate dai personaggi che Dante incontra lungo il suo periglioso cammino attraverso i tre regni. Uno di questi è Brunetto Latini, che in vita fu maestro di Dante Alighieri e al quale il poeta riserva un affetto senza eguali riconoscendo in lui una figura analoga a quella paterna. Spetterà proprio a Ser Brunetto, nel XV Canto dell’Inferno, pronunciare l’insegnamento più prezioso contenuto nella Commedia:
“Se tu segui tua stella non puoi fallire a glorioso porto”.
Brunetto Latini rispecchia il ruolo fondamentale del Maestro che incoraggia e incita l’allievo spronandolo a dare il meglio di sé stesso.
Cosa significa questo verso dantesco? Vediamolo più approfonditamente nell’analisi.
“Se tu segui tua stella non puoi fallire a glorioso porto”: significato
Stella non è una parola casuale poiché, come sappiamo, questo termine riveste un simbolismo fondamentale nella Divina Commedia, dove è posta, non a caso, a conclusione di ogni cantica, come un sigillo.
Le stelle rappresentano la meta designata del pellegrino e, nella Commedia, diventano anche mappa essenziale del suo percorso, come una bussola, utile a indicargli che lui è sempre più vicino alla meta. Per sancire l’ebbrezza dell’uscita dai gironi infernali Dante dice: E quindi uscimmo a riveder le stelle; mentre compiuta la salita del Monte Purgatorio afferma di essere: Puro e disposto a salire le stelle; sino all’epifania del Paradiso rappresentata dalla contemplazione divina: l’Amor che move il sole e le altre stelle.
In questo caso, però, la parola “stella”, utilizzata al singolare, è da intendersi in maniera prettamente esistenziale come infatti indica la vicinanza del pronome: “La tua stella”. Il consiglio che Brunetto rivolge a Dante è quello di seguire il proprio talento, di assecondare le proprie aspirazioni. Solo in tal modo, ribadisce il Maestro, lui non potrà fallire nella sua missione letteraria e umana.
Per dare enfasi alle sue parole Brunetto Latini, che pure era esperto di retorica e poeta, utilizza la metafora della navigazione: Dante viene paragonato al marinaio che deve orientarsi con l’aiuto della stella polare - la stella delle stelle, la stella per eccellenza - per giungere al porto, che simboleggia la destinazione designata. Secondo gli antichi commentatori invece “stella” era un riferimento alla costellazione dei Gemelli, sotto il cui segno era nato Dante; Brunetto era anche un esperto astronomo ed è quindi probabile che abbia tenuto conto delle teorie astrologiche, secondo cui, chi nasce sotto il segno dei Gemelli è ben disposto all’amore per lo studio. Questa interpretazione tuttavia presuppone un agire troppo passivo da parte di Dante per essere davvero presa in considerazione.
Per comprendere meglio questo verso, tuttavia, è necessario contestualizzarlo nel Canto XV in cui è inserito e approfondire la figura di Brunetto Latini, che fu mentore di Dante.
Canto XV dell’Inferno: un’analisi
Nel XV Canto dell’Inferno, nel terzo girone del settimo cerchio, quando Dante incontra il suo maestro, Brunetto Latini, nel girone dei sodomiti ritroviamo la parola “stella” pronunciata, sorprendentemente, nel mezzo di una cantica e non alla fine.
Si tratta di uno dei momenti più commoventi della Divina Commedia - unito all’incontro tra Dante e Virgilio e alla comparsa di Beatrice nel Purgatorio.
A questo punto Dante, che cammina in compagnia di Virgilio, si è da poco lasciato alle spalle la “selva oscura” e procede lungo l’argine del fiume Flegetonte incontrando una schiera d’anime che avanza come in una lunga processione. Uno schermo di vapore protegge Dante e Virgilio da una pioggia di fuoco che si abbatte perenne sui dannati che, infatti, faticano a vedere i due pellegrini.
All’improvviso una di queste anime si distacca dalle altre e afferrando Dante per un lembo della manica esclama: “Qual meraviglia!”.
A essere così meravigliato, anzi estasiato, da questo incredibile incontro è Brunetto Latini, retore, filosofo, poeta, autore di poemi didascalici famosi quali il Trésor e il Tesoretto, che fu maestro di grammatica e retorica di Dante.
Costui è molto stupito di trovare il suo allievo, ancor vivo, nel Regno degli Inferi e la prima cosa che domanda a Dante, in maniera molto colloquiale e umana, è la ragione per cui si trova lì e chi è che lo accompagna:
Qual fortuna o destino
anzi l’ultimo dì qua giù ti mena?
Anche Dante è stupito di trovare il proprio maestro in quel luogo di mestizia, perlopiù con il viso “cotto”, ovvero bruciato dalle fiamme infernali e quasi irriconoscibile.
Siete voi qui, Ser Brunetto?
L’incontro tra Dante e Brunetto si trasforma così in un momento molto intimo, dove l’intero impianto allegorico e didascalico della Divina Commedia sembra venire meno per restituirci una lezione puramente umana. A Ser Brunetto infatti Dante confessa, senza remore, il suo stato d’animo, di essersi smarrito; e per la prima volta lo “smarrimento nella selva” (ché la diritta via era smarrita) assume un connotato pienamente esistenziale:
Mi smarri’ in una valle,
avanti che l’età mia fosse piena
Eccola la confessione di Dante, che in questa occasione non indugia neppure nel presentare Virgilio con tutti gli onori, anzi curiosamente evita proprio di farlo, appare concentrato su sé stesso e, nel conferire con il suo Maestro, rivela tutta la propria fragilità e debolezza. Si crea dunque un’atmosfera di intima connessione che sembra trascendere il significato etico del poema, andare oltre la Legge del contrappasso e l’implicita accusa morale insita nelle pene dell’Inferno.
Anziché concentrarsi sulla pena del dannato, Dante ammette a mezza voce la propria pena personale, ciò che lo affligge.
Consapevole di questo, Brunetto non esita a confortare il suo discepolo con parole bellissime - che ancora oggi ci recano conforto:
Ed elli a me: "Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glorïoso porto,
se ben m’accorsi ne la vita bella;
Letteralmente:
Se tu seguirai la tua stella non potrai non raggiungere il glorioso approdo.
Se ho inteso bene quando anch’io ero in vita.
Il significato metaforico di queste parole è chiaro: se seguirai il tuo talento (da intendersi anche come inclinazioni e aspirazioni) non potrai fallire nel compimento del tuo destino (glorioso porto). E in questa raccomandazione Brunetto inserisce il proprio rimorso per non aver potuto condurre Dante, il suo discepolo migliore, alla realizzazione della propria opera. Maestro Brunetto dà prova di aver pienamente compreso il talento letterario di Dante e di aver saputo subito che lui era destinato a fare grandi cose.
Dato t’avrei a l’opera conforto.
A questo punto Ser Brunetto non trattiene parole d’odio per la gente del suo tempo e, in particolare, per i fiorentini che definisce “gente ingrata, avara, invidiosa e superba”. Ma nella sua invettiva contro la Firenze del tempo, Brunetto è nuovamente interrotto da Dante - data la familiarità tra i due l’incontro assume i toni colloquiali di un dialogo - che con dolcezza gli dice:
“Se fosse tutto pieno il mio dimando”,
rispuos’io lui, “voi non sareste ancora
de l’umana natura posto in bando;
ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m’insegnavate come l’uom s’etterna:”
In tutta risposta Dante ribadisce tutta la propria devozione al suo Maestro e gli confida che, tutto ciò che lui desidererebbe ora, sarebbe che lui fosse ancora in vita, perché conserva la “cara e buona immagine paterna” di lui e il suo insegnamento. Voi mi insegnaste come l’uomo si eterna (come l’uomo si guadagna l’eternità), dice Dante a Brunetto Latini, mostrando come in quell’insegnamento della Letteratura fosse contenuta una promessa di eternità per l’uomo.
Nella accorata risposta a Brunetto, Dante anticipa anche un’altra profezia: l’arrivo di Beatrice, sarà lei infatti la stella che guiderà il cammino di Dante. La ragione per cui Dante scrive la sua opera, lo ricordiamo, era la donna di cui alla fine della Vita Nova si prefiggeva di dire ciò che non era stato detto d’alcuna (io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna, Ndr).
Ciò che narrate di mio corso scrivo,
e serbolo a chiosar con altro testo
a donna che saprà, s’a lei arrivo.
La missione di Dante non sarà compiuta finché egli non arriverà a Beatrice, che già qui si presenta come il fine del suo viaggio. L’allievo dice al maestro che terrà bene a mente le sue parole, ne farà tesoro e si riserva di tenerle con sé per poi farsele spiegare dalla donna amata: sarà Beatrice, ecco ciò che Dante intende, a dare un senso al suo vago peregrinare.
Qual è la stella di Dante?
Dunque, è Beatrice la stella di Dante? In realtà qui ritorna, in maniera significativa, l’identificazione dantesca tra la donna e l’opera ribadita nella Vita Nova, quando nella conclusione il Sommo Poeta afferma:
Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna.
Con queste parole Dante preannunciava il lavoro della Commedia, il suo vero capolavoro. Il poeta chiude la sua opera giovanile anticipando i toni e il riscatto morale del grande poema teologico-didascalico nel quale trasfigurerà l’immagine di Beatrice nell’amore divino e universale.
Capiamo, dunque, che ser Brunetto ci aveva visto giusto: non è Beatrice - come qualcuno falsamente intende - la stella di Dante, ma la sua inclinazione naturale. Lo avrebbe predetto persino Cacciaguida, l’avo di Dante che appare sotto forma di stella cadente nel diciassettesimo Canto del Paradiso dicendo al poeta “che s’infutura la tua vita”, ovvero che la sua vita si sarebbe prolungata - grazie all’opera - oltre gli affanni terreni e le invidie del suo tempo.
Il maestro Brunetto, prima di tutti, aveva intuito che il suo discepolo era dotato di genio: quando dice la “tua stella”, afferma che Dante non ha bisogno di guide poiché porterà a termine il suo viaggio (e il suo compito) servendosi unicamente del proprio talento. Raggiungerà il “glorioso porto” (la fama e la gloria) da solo, adempiendo al proprio destino. Questa è la più bella consapevolezza che un maestro possa infondere al proprio allievo, con un Effetto Pigmalione sorprendente.
La risposta di Brunetto Latini, fuori dall’allegoria, in un certo senso riporta l’attenzione anche al significato della Divina Commedia come opera letteraria che fu scritta da un uomo con le proprie forze, con il sudore della sua fronte e anche un grande sforzo intellettuale e immaginativo.
Nel Canto XV - non siamo neanche a metà dell’opera - Brunetto dice a Dante che lui porterà a compimento il suo capolavoro, gli infonde il coraggio e anche la determinazione necessarie al raggiungimento dello scopo che si era prefissato.
Dunque nel simbolismo della stella possiamo intravedere, in questo caso, l’opera stessa e l’imperativo di realizzarla. Siamo ancora nell’Inferno quindi Dante può permettersi di porre l’accento sulla realizzazione materiale, la gloria terrena, spogliando il poema del suo significato spirituale.
Il discorso di Brunetto Latini è infatti interamente incentrato sull’importanza del successo e della realizzazione personale: afferma che la vera felicità, nella vita, si ottiene solo obbedendo alle proprie aspirazioni sino a realizzare il proprio obiettivo.
Il ruolo di Brunetto Latini nell’Inferno di Dante
Il maestro di Dante - collocato nel girone infernale dei sodomiti a causa della sua bisessualità - afferma il successo letterario eterno della Divina Commedia prima ancora che l’opera si compia. E noi, lettori contemporanei, sappiamo che ser Brunetto aveva ragione.
Commuove poi la pietà e la tenerezza dimostrate da Dante nei confronti del suo Maestro: lo colloca all’Inferno perché così voleva la legge cristiana, eppure in questo episodio, denso di poesia, comprendiamo che Dante umanamente non condanna il suo maestro, anzi lo rimpiange vivo. C’è un profondo scollamento tra questo episodio e la rigida etica morale che di solito guida il viaggio infernale di Dante: l’austerità morale dimostrata da Ser Brunetto contrasta con la miseria del suo peccato. Ne esce, tutto sommato, un personaggio positivo, dacché intuiamo che per Dante il peccato di sodomia non era grave - in questo possiamo cogliere un pensiero estremamente moderno - perché per il Sommo Poeta i peccati peggiori erano altri, come l’assassinio e il tradimento.
Nel finale del Canto XV infatti, quando descrive il ritorno di Brunetto nella schiera dei dannati, Dante osserva che per la sua agilità nella corsa ser Brunetto ricorda il vincitore del palio di Verona giocato nella prima domenica di Quaresima.
Anche tra gli spiriti infernali dunque Brunetto si distingue come “colui che vince”:
e parve di costoro,
quelli che vince, non colui che perde.
Il ruolo di Brunetto Latini è determinante nella creazione del Dante personaggio, oltre che nella formazione dell’identità del Dante uomo. Le parole di Brunetto, sopraggiunte nell’attimo di maggiore smarrimento, danno al poeta la forza necessaria per compiere la sua imponente opera. Non è un caso che, in questo momento, Virgilio rimanga nell’ombra, non abbia facoltà di parola: ser Brunetto lo sostituisce e ne offusca la presenza, rivendica la sua eredità di Maestro, parla direttamente alla coscienza del suo discepolo sancendo un legame che neppure l’oscurità del Regno degli Inferi potrà mai spezzare.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Se tu segui tua stella non puoi fallire a glorioso porto”: significato del verso di Dante
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