Nelle poesie di Emily Dickinson l’autunno è una presenza costante: la poetessa di Amherst si fa annunciatrice della fine dell’estate, dopo averne cantato il solenne splendore e il miracolo del solstizio in It will be summer. Leggendo più attentamente anche le poesie estive di Dickinson - quelle nelle quali la poetessa si identifica nell’essere estate - possiamo tuttavia cogliere un presagio di autunno. Sì, l’estate di Dickinson è costantemente insidiata dall’autunno che, infine, giunge nelle mattine più miti come un travestimento: ecco che la campagna indossa una gonna scarlatta, l’acero indossa una sciarpa. Emily Dickinson ci presenta l’autunno come una vestizione della natura, che indossa nuovi abiti; ma c’è anche dell’altro, la stagione nuova non si esprime solo nell’esteriorità ma anche, forse soprattutto, nell’interiorità, come dimostrano i versi di Se tu venissi in autunno (1862), il cui titolo originale è If you were coming in the Fall. In questo testo ritornano molti dei temi tipici della poetica dickinsoniana, ovvero le stagioni e la ciclicità del tempo, l’attesa e le api.
La sensazione di attesa è espressa da Dickinson nei mesi di raccordo tra una stagione e l’altra, la troviamo, ad esempio, magnificamente espressa in Marzo è il mese dell’attesa (March is the Month of Expectation) nella quale la poetessa lascia trasparire un senso di piacevole aspettativa che tradisce un implicito sotto testo amoroso (i critici pensano a un riferimento al reverendo Charles Wadsworth, ma potrebbe anche trattarsi di Susan, la cognata di Emily). Lo stesso sentimento ritorna in Se tu venissi in autunno, una poesia che si declina interamente nel concetto di attesa e tralascia ogni descrizione esteriore.
L’autunno, in questi versi, non è una stagione ma rappresenta un compimento, l’avvenuta realizzazione di un fatto molto atteso. Se sapessimo che la nostra attesa, un giorno, sarà ricompensata la sopporteremmo più volentieri? Saremmo forse meno indolenti, meno impazienti?
Io non credo, perché non esiste un’attesa paziente, ogni attesa si nutre della propria frenesia, della propria inquietudine, come dimostrano anche i versi frenetici di questa lirica che, già nella prima strofa, tradisce tutto il nervosismo di chi non può, non vuole più aspettare oltre.
Vediamone testo, analisi, traduzione e commento.
“Se tu venissi in autunno” di Emily Dickinson: testo
Se tu venissi in autunno,
Io scaccerei l’estate,
Un po’ con un sorriso ed un po’ con dispetto,
Come scaccia una mosca la massaia.
Se fra un anno potessi rivederti,
Farei dei mesi altrettanti gomitoli,Da riporre in cassetti separati,
Per timore che i numeri si fondano.
Fosse l’attesa soltanto di secoli,
Li conterei sulla mano,
Sottraendo fin quando le dita mi cadessero
Nella Terra di Van Diemen.
Fossi certa che dopo questa vita
La tua e la mia venissero,
Io questa getterei come una buccia
E prenderei l’eternità.
Ora ignoro l’ampiezza
Del tempo che intercorre a separarci,E mi tortura come un’ape fantasma
Che non vuole mostrare il pungiglione.
“Se tu venissi in autunno” di Emily Dickinson: testo originale
If you were coming in the Fall,
I’d brush the Summer by
With half a smile, and half a spurn,
As Housewives do, a Fly.
If I could see you in a year,
I’d wind the months in balls -
And put them each in separate Drawers,
For fear the numbers fuse -If only Centuries, delayed,
I’d count them on my Hand,
Subtracting, till my fingers dropped
Into Van Dieman’s Land.If certain, when this life was out -
That your’s and mine, should be -
I’d toss it yonder, like a Rind,
And take Eternity -But, now, uncertain of the length
Of this, that is between,
It goads me, like the Goblin Bee -
That will not state - it’s sting.
“Se tu venissi in autunno” di Emily Dickinson: analisi e commento
Non è l’autunno il tema principale della poesia, ma l’attesa: lo si evince anche dai versi finali che declinano magnificamente la condizione di colui che attende, in bilico tra certezza e dubbio, tra sicurezza e inquietudine (certain/uncertain). Il senso dell’attesa è la sua possibile interruzione e, dunque, anche l’angoscia di vivere un tempo incerto, sospeso: l’autunno, a ben vedere, la stagione della caducità, dei tramonti precoci, delle foglie che cadono, è la perfetta rappresentazione dell’attesa.
Una delle tematiche principali della poesia è il tempo, qui declinato in tutte le sue molteplici sfumature in una climax ascendente: numeri, anni, secoli e, infine, eternità. L’attesa ha una durata nel tempo e, allo stesso modo, lo sovrasta, lo dilata o lo restringe a proprio piacimento, poiché tende a beffarsi dei secondi, dei minuti, degli anni, è capace di estendersi oltre il tempo sino all’eternità. La poetessa infatti, nella parte centrale del componimento, afferma che la sua capacità di aspettare va oltre l’umano, oltre il corpo, è così profondamente radicata nello spirito da non conoscere limiti di sorta, neppure il deperimento, la morte:
Li conterei sulla mano,
Sottraendo fin quando le dita mi cadessero
Il riferimento alla Terra di Van Diemen non è casuale: si tratta della Tasmania, scoperta da Abel Janszoon Tasman nel 1642; all’epoca in cui scriveva Dickinson la terra aveva nome di Van Diemen in onore del suo amministratore coloniale, sempre olandese. Per quale motivo Emily Dickinson cita la Tasmania? Forse perché nell’Ottocento quel luogo esotico simboleggiava ancora l’ignoto e, quindi, di conseguenza una distanza incolmabile; ma era anche il luogo salvifico che poteva ben rappresentare un ultimo appiglio, la zattera di salvezza.
Nel finale ritorna un altro tema cardine nelle liriche della poetessa di Amherst: le api nella poesia di Dickinson rappresentano i “Bollettini dell’Immortalità”, ovvero gli esseri che l’invisibile ha scelto per celarsi. Nelle liriche di Dickinson le api sono sempre messaggere, portano con sé un messaggio, diventano - a seconda del contesto in cui sono inserite - simbolo sessuale o presagio di morte.
In questo caso Emily Dickinson traduce l’attesa nella metafora della Goblin Bee, che letteralmente potremmo tradurre come un’ape zombie ma nel testo viene proposta in maniera più poetica come “ape fantasma”. L’ape fantasma è colei che cela il proprio pungiglione: così è l’attesa, afferma la poetessa vestita di bianco, poiché noi non possiamo vedere, né cogliere, il suo termine. In questo distico conclusivo avvertiamo tutta la portata emotiva della poesia, ovvero l’attesa che diventa tortura, inquietudine, angoscia: ti ronza attorno come un’ape che non sai se - e quando - ti pungerà. Vivere nell’attesa significa vivere nel presentimento costante di qualcosa che accadrà: talvolta è un presagio nefasto, altre è un pensiero magico da tenere stretto e costantemente alimentare e riformulare a proprio piacimento. La definizione di “ape fantasma” è curiosa e, al contempo, straziante poiché delinea l’idea del tormento interiore che divora l’anima, ma non traspare all’esterno, è invisibile.
Emily Dickinson colloca la propria attesa in autunno, nel tempo sospeso, sovrano di tutte le incertezze, il tempo che delinea - con solenne incanto - un passaggio. Quella promessa sospesa, Se tu venissi, non poteva che essere collocata nell’atmosfera indefinita, in bilico tra declino e compimento, dell’autunno, la stagione che brucia e trasforma la vita in un falò che ha appena cominciato ad ardere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Se tu venissi in autunno” di Emily Dickinson: la poesia dell’attesa
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