Sei pezzi da Mille
- Autore: James Ellroy
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2017
“Tumulti in atto/incendi e saccheggi. Wayne aprì una finestra. Wayne udì le sirene. Wayne vide le fiamme guizzare e crepitare.
Wayne pensò: sono stato io”.
Terribile, cinico, spietato, come tutti i libri di James Ellroy.
Tuttavia con “Sei pezzi da mille” (appena ripubblicato per la nuova edizione degli Oscar451, Mondadori) ci troviamo all’interno di una trilogia che si differenzia, nel genere e nella portata, dalla celebre tetralogia noir di Los Angeles e dagli altri scritti polizieschi di James Ellroy degli anni Ottanta.
La trilogia sull’America dei Kennedy che si apre con “American tabloid” – autentico capolavoro – e prosegue con “Sei pezzi da mille” porta il lettore direttamente al centro della Storia, nell’America della battaglia per i diritti civili dei neri e della guerra in Vietnam, ma con una differenza fondamentale rispetto ai racconti ambientati a Los Angeles: la Storia non costituisce stavolta lo sfondo nel quale si svolgono le vicende dei protagonisti ma l’oggetto malleabile che essi sono chiamati a costruire.
Se ci fermassimo qui saremmo di fronte ad un semplice romanzo impegnato, ma c’è di più, molto di più ed è lo spirito e lo spessore intellettuale di James Ellroy che ci conduce là dove la peggior Storia è stata decisa, pianificata, gestita attraverso la ricostruzione del corso degli eventi e delle personalità degli ideatori e degli esecutori degli omicidi delle tre figure che avrebbero segnato quel decennio: JFK e il fratello Robert, Martin Luther King.
Il tutto è raccontato attraverso le vicende di tre personaggi tipici dei racconti polizieschi à la Ellroy: agenti speciali deviati specializzati in estorsioni e omicidi su commissione; avvocati dipendenti dall’alcool e dal senso di colpa assorbiti dal doppio lavoro al servizio dei patriarchi della mafia americana e della CIA; giovani poliziotti gettati all’interno di mondi al di sopra delle proprie capacità di comprensione il cui adattamento forzato scatena perversioni rimaste fino a quel momento recondite.
Il lettore si trova così proiettato direttamente all’interno dell’entourage Kennedy, vivendone l’ascesa e il drammatico epilogo, seguendo i protagonisti del racconto nei loro incarichi in Vietnam, nei covi della mafia americana, nei ghetti neri delle periferie delle metropoli, nell’America del KKK del profondo Sud e nei casinò di Las Vegas. Al loro fianco tre donne di alto spessore, non solo femmes fatales come da stereotipo, ma co-protagoniste vigorose, sofferenti ed insospettabili silenziose portatrici dei segreti più pericolosi della Storia americana.
Infine, i tre grandi manovratori: il Direttore dell’FBI John Edgar Hoover, Carlos Marcello (uno dei patriarchi della mafia) e Wayne Tedrow senior loro emulatore. Coloro che tutto sanno e tutto dirigono con abilità, autorità, crudeltà e logica sopraffina. Ed è proprio nel personaggio di JEH che si trova uno dei colpi di stile più affascinanti del lavoro di James Ellroy. Mentre nella tetralogia di Los Angeles la narrazione delle vicende dei protagonisti veniva spesso sospesa dagli irriverenti articoli della rivista scandalistica Hush-Hush, stavolta la sospensione della narrazione è affidata all’ingresso in scena del Direttore JEH. Autentico deus ex machina che percepisce il doppiogiochismo dei suoi sottoposti, lo dissimula, ne sfrutta le finalità e lo reindirizza a suo piacimento.
Politica e campagne elettorali; odio e vendetta; Cuba e il Vietnam; Sonny Liston e Cassius Clay; eroina, KKK e mafia. Di ciò si nutre il romanzo. Tre vittime sacrificali, tre ideatori, tre esecutori, tre compagne, tre capri espiatori. Di ciò si nutre la Storia.
Sarebbe infine ingeneroso e riduttivo classificare questi lavori di James Ellroy entro la categoria delle opere di mera denuncia di carattere politico-morale. Ciò che emerge è invece più elevato e più elementare allo stesso tempo. Non si tratta solo della volontà di “demitizzare un’era” e di dimostrare che
“L’America non è mai stata innocente”
come scrive l’autore nell’incipit di “American tabloid”. Ciò che emerge è piuttosto la descrizione dell’umanità in quanto tale nelle caratteristiche dei suoi principali artefici, mossi allo stesso tempo da una logica sopraffina, dalle perversioni più oscene e da una crudeltà senza limiti.
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