Serge
- Autore: Yasmina Reza
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2022
Di padre iraniano e madre ungherese, nata a Parigi, Yasmina Reza è una delle commediografe, scrittrici, e sceneggiatrici con maggiore talento in Francia. Serge, il suo ultimo libro arrivato in Italia per Adelphi (come altri libri dell’autrice) con l’egregia traduzione di Daniela Salomoni, è un racconto lungo o un romanzo breve (a voi la scelta) ed è forse lo scritto migliore finora pubblicato da Reza, autrice dalla lingua impareggiabile.
I meno appassionati (oppure solo più cinefili) ricorderanno Yasmina Reza per un film di Roman Polanski del 2011: Carnage, con Jodie Foster e Kate Winslet, tratto da Il dio del massacro. Il film ebbe uno strepitoso successo: interamente girato in due stanze in una bella casa di New York (ricostruita con l’aiuto delle tecnologie digitali, dal momento che Polanski non poteva e non può entrare negli Stati Uniti per le note vicende giudiziarie) è animato dalla crudeltà tra due coppie, cui infine segue la resa di una delle due.
In questo romanzo breve, Reza scrive dei tre fratelli Popper: Serge, Jean e Nana. La loro è una famiglia disfunzionale, che si frequenta solo nelle festività ebraiche e per qualche giorno durante le vacanze estive.
Jean è la voce narrante del libro. È il fratello calmo, ragionevole, sempre pronto a mettersi in mezzo tra Serge e Nana, per sedarne le liti. Nana, in particolare, è accusata di non aver sposato un ebreo francese ma un certo Ramos Ochoa, la cui unica preoccupazione è quella di monetizzare i lavori persi — tutti contratti a tempo limitato o part-time solo a parole, mentre l’orario di lavoro si è rivelato sempre più lungo e mai retribuito. Messo tutto insieme, i periodi migliori erano quelli in cui percepiva i sussidi di disoccupazione e nel tempo libero faceva lavoretti in nero.
Jean è l’equilibrio e la ragionevolezza, ma dentro di sé si sente un uomo "senza qualità" e la sua presunta saggezza gli appare un atteggiamento da impostore.
E poi c’è il primogenito, Serge. Come Reza fa dire al fratello minore, Serge "a quattordici anni era già un uomo, o meglio si credeva un uomo":
"La voce gli si era stabilizzata sui toni gravi, aveva un accenno di barba e un potenziale sessuale esibito. Aggiungiamoci pure un fratello, io, di due anni più giovane, che si beveva praticamente tutte le sue sparate. Serge si vantava di essere un donnaiolo. In realtà era basso, goffo e soffriva di acne.
"
Con poche pennellate abbiamo il ritratto di un uomo che si dà da fare, che rimane impresso e che non perde questo atteggiamento spavaldo nemmeno quando la sua famiglia si sfascia. La verità è che tutti i fallimenti del fratello e della sorella paiono causati da Serge, che sembra non aver saputo come indirizzarli, dai divorzi ai figli ingrati, a nipoti che non seguono i consigli dello zio. Serge è il perno di questa sgangherata famiglia, dove le tradizioni ebraiche stanno evaporando poco a poco.
Quando i loro genitori sono morti è arrivata persino la promessa di fare un viaggio ad Auschwitz. Reza, in rapide pennellate, racconta dei campi di concentramento come delle attrazioni di massa di disperazione omologata: tutto l’orrore storico si liquefa tra selfie e chiacchiere che non c’entrano nulla con lo sterminio di massa.
Le pagine di Serge sono così preziose che ridurle a brevi riassunti non riesce a far percepire la nostra moderna disumanizzazione. Si passa tra le teche con i cappelli e la montagna di occhiali dei prigionieri morti col gas e tra un selfie e delle chiacchiere via chat col cellulare si racconta a qualcuno che non è ad Auschwitz cosa si prova in quel momento. Caldo, alienazione, una quieta disperazione e la voglia di concludere il viaggio, ma dicendo che noi ci siamo stati e sappiamo cosa sono i campi di concentramento.
Così i più giovani, i nipoti di Serge e la figlia di Nana, inficiano la partenza dei fratelli chiedendo alle guide di Auschwitz se hanno il wifi e qual è la password apposita.
Serge ha una visione tragica della vita, di cui sa però riconoscere anche il lato grottesco: questi americani ebrei che hanno da ridire alla reception dell’albergo perché la colazione è troppo spartana e loro mangiano solo la mattina e alla sera, lasciando per le ore tredici uno snack e un frutto, o perché vogliono l’aria condizionata più forte, tanto che prima di uscire dall’hotel sembra di essere in una località di mare.
Jean, invece, che scrive anche di questo viaggio, pur trovando assurde le pretese di chi sembra stare semplicemente facendo un’escursione senza riuscire a metabolizzare il posto che sta guardando, non si sente meno colpevole e scrive:
"Non ho saputo comportarmi emotivamente in questi luoghi dai nomi cosmici, Auschwitz e Birkenau. Ho oscillato tra la freddezza e una ricerca di commozione che altro non è che un certificato di buona condotta".
In sintesi: Yasmina Reza non può garantire per nessuno. Forse l’orrore si può solo guardare sentendosi in colpa.
Serge
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