Servizio inutile
- Autore: Henry de Montherlant
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Edizioni Settecolori
- Anno di pubblicazione: 2022
Bentornato Henry de Montherlant (1895-1972), scrittore dalla prosa acuminata, adamantina, prodigiosamente esatta, non notissimo al pubblico italiano, come peraltro diversi autori accusati di collaborazionismo, sostenitori del fascismo o comunque assai destrorsi del secolo scorso.
Scrittori che non hanno avuto la fortuna di Céline, non così lontano quanto a scelte politiche ma alla lunga, da noi, in grado (per meriti letterari superiori? fortuna? maledettismo dal côté più accattivante?) di oltrepassare il risentimento di una pruderie incapace letteralmente di leggere i testi in sé e giudicarli per il loro valore intrinseco e, soprattutto, di misurarsi con immaginari rischiosi ma tonici ben oltre l’abbraccio tragico con ideologie ripugnanti.
Il ritorno in libreria in questo caso è dovuto al raffinato editore Settecolori, persino puntiglioso nella ricerca di testi e/o autori scomodi (lo stesso nome dell’editore si presume preso a prestito dal titolo di un romanzo di Robert Brasillach, scrittore condannato a morte per le accuse di collaborazionismo, e vanta nel proprio catalogo nomi quali Ernst Jünger, Lucien Rebatet, Pierre Mac Orlan).
Il libro di cui parliamo è Servizio inutile, una raccolta di brevi scritti a cavallo fra gli anni Venti e i Trenta, per lo più giornalistici, preceduti da un’introduzione che vale come testo a sé, ottimo per iniziare a conoscerlo (la traduzione è di Marco Settimini e il volumetto, di bellissima e minimalista fattura, è seguito da una postfazione di Stenio Solinas).
Si diceva di Jünger: fu lo stesso scrittore tedesco a riconoscere in Servizio inutile una sorta di anticipazione al suo più noto Trattato del ribelle, seguito vent’anni dopo.
L’indipendenza intellettuale e l’intransigenza stilistica di questi scritti si coniugano con prese di posizione che oggi potrebbero apparire discutibili, ma intanto non vorremmo cedere al tipo di recensione “à la francese” che egli stesso stigmatizza (“cerebrale, ossia ideologica”), senza considerare che all’autore empirico non faceva difetto la volontà di contraddirsi. Se accettiamo, come pare non problematico per la critica, di vedere nel Pierre Costals di Ragazze da marito (unico dei romanzi - imperdibili - della serie Les Jeunes Filles a essere tradotto per noi da Adelphi) una controfigura dello stesso de Montherlant, dovremmo prendere sul serio questa frase:
“Gli era sempre piaciuto smentire se stesso, manifestava così l’orgogliosa consapevolezza della propria diversità”.
È un pensiero urticante che d’altronde s’incunea nel non detto e nel non dicibile di altre contraddizioni, comprese quelle che si sono collocate nella parte giusta della storia, nell’ideale della Civilization: l’abdicazione a un certo ideale di grandezza per esempio, la rimessa in questione di concetti troppo presto liquidati come irricevibili, l’onore, il disprezzo per la mediocrità. Argomenti che lo scrittore e drammaturgo svolge fra la dimensione collettiva a quella individuale. Valga per la prima la contrapposizione fra Spagna e Francia. Di qua un “formaggio molle”, un illuminismo compiaciuto dei propri sillogismi, di là un paese intriso di misticismo e “senso gaudente”, ispirato dalla contemplazione o dalla noncuranza, indifferente verso “le magnifiche sorti e progressive”, adagiato pigramente nei suoi antichi fasti imperiali ma capace perciò stesso di sognare, ancora.
Perché, ragiona de Montherlant, accettiamo la rinuncia quando indossa le vesti, il saio, di un ordine religioso e la rifiutiamo nel mondo temporale? Nella vocazione antimoderna della Spagna risiede per de Montherlant lo stesso nucleo di nobiltà del cante jondo gitano, una profondità del sentire ignota al disinvolto ma vacuo francese, che fa spallucce all’”ingenuità e alla naturalezza”.
La stessa letteratura francese, scrive ancora, “della povertà del temperamento ha fatto un dogma”. Al canto profondo oppone la chiacchiera quotidiana (chissà se de Montherlant lesse mai l’Heidegger di Essere e Tempo; e chi sarebbe stato davvero décadent agli occhi di Nietzsche?). Ribaltiamo la suggestione precedente: se fosse un personaggio letterario, de Montherlant avrebbe tutti i crismi di un round character, non per il sacrosanto ma ovvio diritto di contraddirsi (a partire dal tono, dall’ironia assai francese), e nemmeno per la sua ricca biografia, quanto per l’acume di un pensiero (poi cristallizzato in una prosa prismatica) talora bizzarro, ma sempre implausibile nei flat character interscambiabili di masse, per esempio, nazionaliste.
Solo a uno scrittore con il gusto del paradosso come de Montherlant poteva venire in mente in un articolo del 1933 la proposta di erigere accanto alla statua del maresciallo Bugeaud ad Algeri quella degli “indigeni dell’Africa del Nord morti difendendo il loro suolo contro di noi”. Aggiunge, da irriducibile anti-razionalista:
Non parlo di logica, parlo di generosità.
A questa affermazione fa seguito la serie di obiezioni che aveva messo in conto quando in un primo tempo aveva desistito dal pubblicare il pezzo.
C’è poi il de Montherlant che disprezza il cinema, ama gli animali (ma anche la tauromachia), lo sport - non certo per “la volgare mania della performance e della vittoria a ogni costo” quanto per le “virtù d’energia, disciplina e solidarietà”.
Il pezzo forte è forse l’ultimo, Il possesso di sé, testo di una conferenza del 1935: obiettivo polemico, i giornali. Vedere un ragazzo con un quotidiano fra le mani gli fa orrore. L’abborracciato racconto della quotidianità ci occupa la mente, diventa il mondo in cui crediamo di vivere; per “il popolino” un fatto “è vero perché è stampato”. Viviamo costantemente in un universo di menzogne, non tanto o non solo perché per lo più i giornali sono approssimativi o scrivono proprio il falso, ma perché è l’orizzonte contratto della quotidianità a soffocare insieme la verità e l’immaginazione.
A spossessarci di noi stessi.
Si diceva, dimensione collettiva e individuale - un tema, capitale, trascorre in entrambe: il suicidio. A fronte di alcuni casi commentati dai francesi con “indifferenza, denigrazione e risate sarcastiche” perché avvenuti per cause apparentemente di poco conto, de Montherlant rivendica l’onorabilità del gesto e contesta la tendenza della società francese ad accettarlo solo nelle tipiche condizioni di guerra. L’eroismo in tempo di pace meriterebbe tutt’altro rispetto – sarebbero passati quarant’anni quando l’autore stesso, un “monaco-soldato”, avrebbe scelto di morire così.
Se volete uscire dal cerchio subdolo della romanzeria inutile e rassicurante, sappiate che non c’è (stato) solo Céline.
Servizio inutile
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