Per Imprimatur editore è uscito di recente Soldatessa del Califfato. Il racconto della miliziana fuggita dall’ISIS, un testo ideato e scritto da Simone Di Meo e Giuseppe Iannini, due giornalisti napoletani che hanno avuto coraggio da vendere.
Simone Di Meo, classe 1980, si occupa principalmente di criminalità organizzata, terrorismo, politica e giustizia, scrivendo per Il Tempo, Panorama e Il Sole 24 Ore.
Giuseppe Iannini, originario di Oria, vive e lavora a Napoli ed è laureato in Scienze giuridiche e Scienze dell’amministrazione.
«Il mio animo è diventato un deserto nel momento in cui ho deciso d’aiutare un mondo di pazzi, un mondo debole e maschilista, che tenta di rovesciare a cinghiate e colpi di mortaio il proprio complesso d’inferiorità nei confronti dell’Occidente.»
Aicha, ventiseienne tunisina, con una laurea in Informatica (in Italia, in realtà, sarebbe una via di mezzo tra Scienze della Comunicazione e Informatica): è lei a parlare all’interno del libro, è lei – con un nome di fantasia, per ragioni di sicurezza – a raccontare la propria storia da ex miliziana dell’ISIS, fuggita dopo essersi resa conto della follia e della crudeltà dei terroristi, di cui è stata complice.
Simone Di Meo e Giuseppe Iannini raccolgono la testimonianza diretta di una giovane donna fuggita da quel “mondo di pazzi”, riportandola in un libro che è a metà tra il saggio, l’inchiesta e il grido disperato di chi è riuscito a liberarsi dalla morsa di quella parte di Islam malato, fondamentalista e folle.
Abbiamo intervistato i due autori, che ci hanno raccontato i retroscena del libro e le loro opinioni riguardo al dilagante fenomeno dell’ISIS.
- Soldatessa del Califfato è un testo molto forte, che dà voce ad una ex miliziana dell’ISIS e alla sua rabbia nei confronti di quello che lei stessa definisce “un mondo di pazzi”. Come siete riusciti ad arrivare ad Aicha? E quanto è stato difficile convincerla a parlare di un argomento così delicato e scottante?
(SIMONE DI MEO) Ad Aicha siamo arrivati attraverso una serie di coincidenze e di insistenze che hanno visto coinvolte diverse persone rispetto alle quali preferirei non soffermarmi troppo per tutelarle. Posso però dire che tutto è partito dall’articolo sulla jihaidista di Torre del Greco, Maria Giulia Sergio, i cui genitori sono stati arrestati di recente per terrorismo internazionale, che ho pubblicato nel gennaio scorso. Ecco, da quel reportage è scaturito tutto.
In realtà, siamo stati davvero fortunati perché se non avessimo chiesto noi ad Aicha di scrivere il libro sono certo che ce l’avrebbe chiesto lei. Aveva un peso insopportabile sul cuore di cui voleva liberarsi e, probabilmente, ai suoi occhi, un libro può aiutarla a riprendere a vivere. Perché, per sua stessa ammissione, ancora oggi non riesce a dimenticare quel che ha visto e quel che ha fatto laggiù, nell’inferno di Raqqa.
- Rispetto alle informazioni che circolano sui giornali, sui social e che vengono diffuse tramite i tg, quanto il racconto di Aicha combacia con quanto viene affermato?
(GIUSEPPE IANNINI) Abbiamo avuto modo di anticipare diversi argomenti che, col tempo, sono diventati di pubblico dominio. Aicha ci ha raccontato della “guerra dell’acqua” che si combatte tra l’Iraq e la Siria per il controllo dei pozzi e delle risorse idriche potabili; del traffico di opere d’arte rubate e poi rivendute su Ebay; e – ancora – dell’enorme rischio sanitario nelle città controllate dall’Isis per l’incontrollabile diffusione di malattie infettive (Aids, in particolare) tra i militari e i civili.
Qualcosina, quand’ancora Simone ed io eravamo impegnati nella redazione del libro, era apparsa soprattutto sui media internazionali, soprattutto israeliani, ma è solo negli ultimi mesi che i “segreti” di Aicha hanno iniziato a disvelarsi in tutta la loro tragica evidenza. A conferma della sua conoscenza approfondita di tutto quel che ruota attorno al mondo folle dello Stato Islamico.
- La ragazza nel libro svela dei particolari molto duri: parla del mercato della pornografia, con cui l’ISIS rimpinguerebbe le sue finanze, parla di orge omosessuali in relazione ad uno dei dirigenti del gruppo terroristico, pur essendo la sodomia maschile considerata, nel Corano, un peccato capitale punito con la morte. E parla anche dei cosiddetti finti rapimenti.
Sono verità sconvolgenti, ma di cui forse si parla troppo poco, nonostante Aicha sia la prova vivente che questa realtà esiste ed agisce in modo impietoso. O forse non è così?
(GIUSEPPE IANNINI) Se ne parla poco perché rare sono le voci dei diretti testimoni. E soprattutto perché dell’Isis vince l’immagine della violenza ottusa e criminale delle esecuzioni di piazza piuttosto che quelle dei suoi “segreti”. Uno stratagemma comunicativo che “cannibalizza” qualsiasi altra informazione. Purtroppo, la morte è una notizia che si vende bene sui mezzi d’informazione tradizionali e sui social network, e i social media manager di al-Baghdadi sono bravissimi a “manipolare” i media. Quindi sarà difficile trovare notizie sull’omosessualità nell’esercito dell’Isis ma al contrario di notizie sulla brutalità dei terroristi trabocca il web.
- Cosa pensi del tipo di informazione che viene fatta in Italia rispetto alle vicende dell’ISIS? Secondo te è giusto essere informati su tutto, far circolare foto, notizie e video, e quindi conservare una giuste dose di “paura” nei confronti dei terroristi, o piuttosto sarebbe più saggio – atteggiamento molto comune anche sui social network – glissare su certi avvenimenti e non dar loro troppo peso?
(SIMONE DI MEO) È una domanda assolutamente legittima e solo apparentemente prevede una risposta facile. Ripropone, infatti, un tema particolarmente dibattuto al tempo delle Brigate rosse quando alcuni esperti di comunicazione e direttore di quotidiani ipotizzarono il black-out informativo sui comunicati dei terroristi, soprattutto durante il rapimento di Aldo Moro nel 1978. La questione, ora come allora, è la seguente: quanto gli organi di informazione “aiutano” i terroristi nel far circolare le loro rivendicazioni, i loro messaggi, la loro distorta visione del mondo facendo informazione? Personalmente, ritengo che una qualsiasi forma di “censura” o di “gradazione” delle notizie, soprattutto nell’epoca del Villaggio Globale e dei social network, sia non solo inutile ma anche dannosa per il lettore. Tutto ciò che non pubblicherebbero i giornali troverebbe spazio sui vari Facebook e Twitter; e dunque, allora, meglio il “filtro” professionale di un giornalista per raccontare i fatti e verificarli. Almeno, se si riveleranno falsi, sapremo con chi prendercela.
- Dal tuo punto di vista, Simone, si tratta di uno scontro aperto tra Occidente e Oriente? Tra Cristiani e Musulmani? O questo è solo un modo, da parte di quell’Islam fondamentalista e malato, per “giustificare” la loro necessità di conquistare più terreno possibile?
(SIMONE DI MEO) Credo che si tratti anzitutto di uno scontro interno al mondo islamico, di un “regolamento di conti” etnico e settario. I sunniti (cui appartengono i seguaci dell’Isis e di Al Qaeda, per esempio) contro gli sciiti. Solo in un secondo momento possiamo parlare di sfida aperta all’Occidente cristiano e al suo più odiato emblema, il Vaticano. È chiaro però che ci troviamo di fronte non solo a una guerra di religione, ma a una precisa road-map politica, di ispirazione certamente confessionale, che punta a creare uno Stato con proprie leggi, una propria moneta, una propria economia. Non credo molto ai progetti di aggressione mondiale di cui parla spesso al-Baghdadi, al quale, evidentemente, è sufficiente – a mio avviso – diventare l’unico vero erede di Maometto e regnare su quel che un tempo era il regno di Al Sham, oggi smembrato in Siria, Iraq, Israele, Giordania e Libano.
- In appendice al libro ci sono 64 pagine in cui viene presentato il manuale di propaganda islamica. Come siete riusciti a rintracciare questo manuale? E da dove nasce l’idea di pubblicarlo?
(GIUSEPPE IANNINI) E’ un testo che circola, da qualche tempo, sui siti jihaidisti italiani su cui, dopo diversi tentativi andati a vuoto, siamo riusciti a mettere le mani. Abbiamo deciso di pubblicarlo per rispondere a una duplice esigenza: la prima, di carattere informativo, per dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il “modello Isis” è arrivato anche nel nostro Paese. Il manuale è scritto in italiano, anzi in un buon italiano, e questo significa che i simpatizzanti del Califfato sono uomini e donne con una cultura superiore, che hanno studiato e che sono inseriti in contesti socio-culturali tutt’altro che scadenti. Non è insomma il solito cliché della propaganda di serie C per rozzi e violenti. La seconda esigenza, invece, è di carattere più squisitamente narrativa: per rendere davvero l’idea della capacità di mentire, da parte dell’Isis, così come ce la racconta Aicha, dovevamo per forza prendere un esempio da contrapporre al racconto di lei. Così abbiamo deciso di pubblicare questo phamplet. Leggerlo in successione, dopo le pagine di orrore di Aicha, rende bene l’idea dell’enorme sfida che attende l’Occidente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Soldatessa del Califfato: intervista a Simone Di Meo e Giuseppe Iannini
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