Soldati e patrie: i combattenti alleati di origine italiana nella Seconda guerra mondiale
- Autore: Matteo Pretelli, Francesco Fusi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2022
Con il fascismo, NO! Gli italiani emigrati all’estero non risposero alla richiesta della Madrepatria di tornare a fare la guerra per Mussolini nel 1940-43.
S’è per questo, non accettarono nemmeno, anche se antifascisti, di arruolarsi contro il regime in reparti cobelligeranti fin dall’inizio con gli Angloamericani. Scelsero invece di militare regolarmente negli eserciti degli Stati in cui si erano trasferiti, che combattevano dalla parte degli Alleati, anche in Italia, dall’estate 1943. Le edizioni bolognesi il Mulino hanno dedicato a questo argomento un saggio storico di Matteo Pretelli e Francesco Fusi dal titolo Soldati e patrie: i combattenti alleati di origine italiana nella Seconda guerra mondiale (dicembre 2022, fuori collana, 597 pagine).
Il volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di scienze umane e sociali dell’Università l’Orientale di Napoli, dove Matteo Pretelli è docente associato in storia dell’America del Nord. Per il Mulino ha già firmato L’emigrazione italiana negli Stati Uniti (2011).
Francesco Fusi è dottore di ricerca in storia contemporanea nell’Università di Pisa e collabora con l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Secondo stime sempre difficili, per carenze di censimenti e di registrazioni dei dati, più di 4milioni di Italiani lasciarono il Paese tra il 1880 e il 1920, per cercare un futuro altrove nel mondo. Trovarono lavoro all’estero, s’integrarono più o meno rapidamente, ebbero figli e figlie che allentarono progressivamente i legami con la terra d’origine.
È a questa Italia fuori dall’Italia che il fascismo guardò come risorsa per le proprie mire di espansione. A loro volta, gli expat giudicavano positivamente Benito Mussolini, sia pure in modo superficiale. Il dittatore italiano era percepito come uno statista che aveva restituito prestigio internazionale alla Nazione tricolore, riscattando un’italianità spesso bistrattata all’estero.
Nel mondo occidentale, il duce e il suo anticomunismo, “come la sua risolutezza mascolina”, riscuotevano ampi consensi fra i politici e la stampa. Così, molti emigrati sostennero l’invasione italiana dell’Etiopia nel 1935, tanto che Mussolini riuscì a inviare in Africa orientale due legioni di combattenti provenienti dalle comunità sparse nel mondo.
In seguito, nuclei di Italiani, questa volta esuli antifascisti, lasciarono i Paesi di adozione per sostenere le forze repubblicane spagnole impegnate nella Guerra civile. Ma se all’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale (10 giugno 1940) Roma fece ancora appello ai migranti perché combattessero per la terra d’origine, rispose soltanto un numero insignificante, contro le aspettative del regime.
Nella guerra mondiale precedente, invece, gli emigrati erano rientrati in Italia per prestare servizio nel Regio Esercito contro l’Austria-Ungheria. Se in genere i migranti si risolsero a tornare nei Paesi dai quali erano partiti, gli Stati Uniti arruolarono mezzo milione di immigrati di quarantasei nazionalità, in accordo con le rispettive comunità. Gli stessi Italiani non si limitarono a servire nel proprio esercito, ma combatterono a decine di migliaia anche nelle forze armate statunitensi, impiegate nel 1917-1918 sul fronte franco-tedesco.
Tornando al secondo conflitto, fallì peraltro il tentativo di Pacciardi di creare un battaglione di oppositori antifascisti del regime fascista, che affiancasse gli Alleati contro l’Asse nazifascista. Eppure, diversi Italiani militarono nei movimenti di resistenza europei, soprattutto in quello francese.
La storiografia internazionale si è occupata poco delle minoranze italiane nelle forze armate alleate, ma occorre tenere presente che negli USA almeno gli immigrati che avevano mantenuto la cittadinanza natale, all’ingresso dell’Italia in guerra al fianco dei nazisti erano diventati “enemy aliens”, stranieri nemici. Subirono restrizioni della libertà personale, allontanamenti da luoghi sensibili e anche internamenti in campi speciali.
Questo accade con intensità maggiore in Gran Bretagna Australia e Canada, con minore severità in Brasile e soprattutto negli Stati Uniti.
Non fu comunque facile a tanti Italiani far valere la lealtà nei confronti dei Paesi in cui si erano radicati e riuscire a farsi accogliere nelle armate nazionali.
Tutti questi aspetti vengono sviluppati negli undici capitoli del libro.
Si prosegue con un’analisi delle modalità di arruolamento nei vari Stati belligeranti e delle relazioni fra gli antifascisti italiani all’estero e il combattentismo. Oltre a dati quantitativi, si cerca di delineare un quadro statistico e sociologico dei combattenti di origine italiana che servirono nei reparti statunitensi, in particolare.
Il lavoro di Pretelli e Fusi segue anche le visite di molti italoamericani di stanza in Italia nei paesi di origine dei propri genitori e riflette sul ruolo rasserenatore dell’etnicità nelle politiche di buona occupazione condotte in Italia dagli Alleati e soprattutto dalle autorità nordamericane.
L’attenzione si rivolge inoltre al contatto degli emigrati combattenti con le rispettive colonie nelle nazioni di emigrazione e anche alla rappresentazione del militare italoamericano nella cinematografia di guerra statunitense e italiana.
L’ultimo capitolo allarga la prospettiva alla memoria della guerra degli italoamericani protratta nel Dopoguerra, tanto in Italia che negli Stati Uniti.
Il volume si basa sulla ricerca pluriennale avviata dalla Consulta dei Toscani nel mondo, finanziata dalla regione Toscana e sostenuta sotto gli aspetti scientifici dall’Istituto storico della Resistenza di Firenze.
Soldati e patrie. I combattenti alleati di origine italiana nella Seconda guerra mondiale
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