Specchio infranto
- Autore: Mercè Rodoreda
- Casa editrice: La Nuova Frontiera
- Anno di pubblicazione: 2013
La grande scrittrice catalana morta nel 1983 ci riserva una nuova sorpresa: il romanzo appena pubblicato da La Nuova Frontiera, “Specchio infranto”, contiene un lungo prologo della stessa autrice, nel quale spiega diffusamente la sua narrativa, le ragioni dello scrivere.
”Scrivo perché mi piace scrivere. Se non sembrasse esagerato , direi che scrivo per far piacere a me stessa. Se di rimbalzo quel che scrivo piace agli altri, meglio.”
Sono una di quelle per cui la scrittura della Rodoreda è un vero dono. “Specchio infranto” è un lungo romanzo, quasi epico, una saga familiare ambientata a Barcellona in un lungo arco di tempo che va dai primi dello scorso secolo a tempi vicini ai nostri. Protagoniste sono una donna, Teresa Godoy, e una villa bellissima poco fuori città, circondata da un grande parco, un bosco, uno stagno, che il suo secondo marito le regala.
“Dio mio, sembra un castello!”
sono le uniche parole che la giovane donna riesce a pronunciare di fronte alla maestosità della costruzione, appartenuta ad un nobile decaduto. In questo luogo un po’ magico, un po’ pauroso, si svolge la maggior parte della storia raccontata nel romanzo, diviso in brevi capitoli, ognuno dei quali porta un titolo che ne illustra il contenuto.
Trama La bellissima Teresa, figlia di una pescivendola, in un peccato di gioventù partorisce un bambino avuto da un uomo già sposato. Il piccolo Jesùs Masdeùs viene affidato ad una vecchia zia e crescerà considerando Teresa la sua madrina, mentre Teresa sposa un vecchio e ricchissimo possidente, Nicolau Rovira, che la colma di amore e gioielli, tra cui un preziosa spilla tempestata di pietre colorate. Dopo la morte annunciata del marito, Teresa accetterà di sposare Salvador Valldaura, reduce da un dispiacere amoroso dovuto alla morte tragica di una donna amatissima, Barbara, che la renderà padrona della villa e di una vita lussuosa e forse felice. I due avranno un’unica figlia, Sofia, diversissima da sua madre, silenziosa e severa fin da piccola. Una volta adulta accetterà di sposare Eladi Ferriols, figlio di ricchi commercianti che oltre al denaro porterà in dote una bambina, Maria, figlia di una canzonettista fascinosa di cui egli si era invaghito. In casa ci saranno i due maschi di Sofia, Ramon e Jaume, oltre a Maria. Una tata, la signorina Rosa, baderà ai tre ragazzini, ma non abbastanza: infatti i due più grandi, uniti da un’attrazione fatale, lasceranno affogare in uno stagno il piccolo e malaticcio Jaume, amatissimo dalla nonna Teresa, che nel frattempo, ormai invecchiata, vive paralizzata in un’ala della villa, assistita dalla fedele Armanda, ma in fondo disamata da sua figlia.
Impossibile sintetizzare tutti gli avvenimenti, per lo più tragici, che la famiglia si trova ad attraversare. Dopo le morti precoci di alcuni, quelle attese dei più anziani, al giungere della guerra civile la villa viene abbandonata. Sofia parte per Parigi, dove troverà un nuovo marito, mentre nella villa devastata dai miliziani, tra i quali il capo è proprio Jesùs Masdeu, è rimasta solo la vecchia Armanda, fedele custode delle memorie familiari, testimone di quanto è successo tra quelle mura nei lunghi anni in cui ha servito la famiglia, incapace di distaccarsene.
Tanti personaggi si affollano nel romanzo di Mercé Rodoreda, tante vicende si susseguono, tanti amori finiscono male:
“…Ciascuno si innamora di chi non dovrebbe e chi non ha l’amore cerca di averlo a tutti i costi”
Il miracolo di questo libro resta la scrittura. Interi capitoli vengono dedicati alla piante, agli animali che popolano il giardino della villa. Glicini, allori, rose, sono altrettanti personaggi quasi vivi che percorrono le pagine del libro, come le api, i topi, le tortore; ci sono poi le numerose domestiche che popolano i corridoi e le sale della villa, che lucidano argenterie lussuose, conservano servizi da tavola, lavano e stirano i ricchi guardaroba dei padroni, la biancheria di casa, gli abiti smessi ma conservati: un domino viola, indossato in gioventù da Teresa, diventa una specie di feticcio simbolico di un tempo lontano per la ormai vecchia Armanda, che lo ritroverà intatto e lo indosserà, quando tutto sarà andato in rovina. Quando arriveranno i facchini, con l’ordine di portar via o bruciare i pochi mobili rimasti, per spianare il terreno che ospiterà moderni condomini residenziali, il fantasma della giovane Maria vorrà rimanere tra quelle mura.
Fantasmi, sogni, angeli, fanno parte del repertorio di scrittura della Rodoreda, che alterna un registro realista, fatto di dettagli concreti, di oggetti giornalieri e di sentimenti comuni, a momenti di pura fantasia onirica: splendidi i sogni di alcuni protagonisti, per esempio quello chagalliano di Teresa, ormai vicina alla morte:
“Si guardò il petto: tutto blu. I piedi: blu. Si trovò con uno specchio d’acqua davanti , e dentro il suo viso tutto blu. Alzò una mano: blu. Le prese la paura di essere blu anche dentro. Cuore, polmoni, fegato, tutto blu. Si alzò la gonna: la coscia? Blu….Le si posò sulle labbra un fiore a cinque petali, blu, che aveva odore di menta…..”
Una scrittura ricca di pagine liriche, poetiche, raffinate, in cui sembrano riassumersi molte delle caratteristiche della letteratura europea novecentesca: qualche citazione proustiana, forse, come l’ombra di Virginia Woolf, ma tutto nel clima lussureggiante e quasi barocco della Barcellona del secolo scorso. Un libro fascinoso, profumato, tragico, da non mancare.
Specchio infranto
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