Stanley Kubrick. Shining
- Autore: Giorgio Cremonini
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Edizioni Lindau
Mai visti horror capaci di misurarsi col genere come Shining di Stanley Kubrick. Tra testo e sotto-testo filmici (detto e non-detto, mostrato e non-mostrato) vi sono disseminati dentro spunti riconducibili alla ghost story, ai temi del doppio, della casa infestata, della preveggenza, della reincarnazione, della telepatia, della possessione, della follia omicida. E ne sto certo lasciando fuori qualcuno. La cosa straordinaria – la cosa che fa di Shining un capolavoro assoluto del cinema del Novecento – è che tanto accumulo di capisaldi orrorifici non arriva mai al surplus, alla completa saturazione. Per dirla in altro modo: l’iper-citazionismo del genere non è sfacciato e nemmeno esibito. Si offre anzi alla visione come trasceso, raggelato. Re-indirizzato verso l’evocativo piuttosto che al rivelato scopertamente. Come succede nello Slasher o nello Splatter, per esempio. Come succede persino nel romanzo di Stephen King da cui il film in qualche modo discende. Là un’onesta storia di fantasmi, una narrazione visiva, a un soffio dal didascalico; qui un taglio altro, suggestionante, interiore, filosofico (la psicoanalisi rintracciabile nel possibile filo-rosso del perturbante freudiano).
Secondo la dettagliata lettura filmica resa da Giorgio Cremonini in “Stanley Kubrick. Shining” (Lindau, prima edizione 1999, terza edizione 2017)
“Osservato dall’alto della sua fine, cioè dall’ultima inquadratura, Shining assomiglia in modo esemplare al labirinto che il protagonista Jack Torrence osserva agli inizi della sua follia, di cui si crede dominatore, ma da cui gli sarà impossibile uscire. Nel momento in cui tutto sembra finire e crediamo di esserne fuori, basta un’immagine a ricacciarci al suo centro, in quel groviglio di contraddizioni irrisolte che è l’Uomo, lo specchio opaco in cui ogni risposta, lungi dall’essere risolutiva, è parziale e sfuggente, elusa con la stessa cura con cui vengono edificate le domande. In Shining, come altrove, Kubrick non spiega, dipinge il nulla, il grande vuoto della follia dell’uomo”.
L’iconico primo piano lupesco di Jack Nicholson (“Wendy? Sono il lupo cattivo!”) sogghigna dalla copertina di questo saggio, ad oggi l’unica monografia italiana dedicata al film. Parafrasando (e condensando) la regola delle cinque W del giornalismo anglosassone (Chi? Cosa? Dove? Quando? Perché?) l’anamnesi di Giorgio Cremonini procede per capitoli-stazioni di senso ulteriore, meta-cinematografiche (al cospetto di Kubrick è pressoché inevitabile), e il bello è che lo fa:
- lasciando fuori dalla trattazione i luoghi comuni di estrazione dietrologica (Shining come coacervo di richiami esoterico-occulti. Vedi il film di Rodney Asher, "Room 237");
- senza perdere di vista il cult-movie oggetto di indagine (nel libro Shining è commentato sequenza per sequenza) cui rimanda e si rifà di continuo.
Il saggio - giunto oggi alla sua terza edizione e attualmente nella collana Il grande cinema - in poco più di 110 pagine dice insomma quanto deve e lo dice benissimo, col valore aggiunto di una corposa raccolta di riferimenti bibliografici desunti dalla stampa e dalla pubblicistica nazionale e internazionale. Comprese nel testo anche 32 foto b/n tratte dal film. Un voto? Dieci, senza tema di smentita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Stanley Kubrick. Shining
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