Storia con bambina
- Autore: Peter Handke
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Garzanti
Un romanzo di Peter Handke (pubblicato nell’81), riproposto nel 1996 da Garzanti nell’ottima traduzione di Rolando Zorzi, che ribadisce le grandi qualità di stile e di pensiero dell’autore, al cui successo non è estranea - oltre all’indubbia abilità narrativa - una certa fama di ribellismo e ostilità al mondo.
Il testo è ristretto in una vicenda privatissima, interna all’anima, scarsa di connotazioni e riferimenti a luoghi o date concreti e attenta, invece, ad ogni sfumatura di sentimento: anche formalmente si presenta come molti altri romanzi dell’autore austriaco, quasi ad andamento diaristico, benché in terza persona, con qualche sporadica, improvvisa sterzata in prima persona, o passaggio brusco dal passato al presente, a sottolineare una partecipazione non più camuffabile.
“Storia con bambina” (Garzanti, 1996), è la vicenda d’amore che si snoda tra lo scrittore e sua figlia, pensata e attesa già molti anni prima della sua venuta al mondo. La bambina nasce ed è, in qualche modo, sostitutiva di qualsiasi presenza femminile al suo fianco e, subito, i due genitori entrano in crisi, riguardo ai ruoli da giocare tra di loro e con la neonata. Il padre, giovane autore già affermato ma perpetuamente in collisione con se stesso e con il mondo, trova nella figlia il suo orizzonte e confine, riuscendo solo in lei a circoscrivere ansie e pensieri:
“la bambina gli si presenta quindi come il suo lavoro: il suo pretesto per non partecipare agli avvenimenti della storia”.
Bambina - alibi, quindi, poiché lui deve occuparsi di lei, può finalmente dare le dimissioni da tutti i rapporti con gli altri, vivere in simbiosi con la piccola, in rari momenti di totale felicità:
“Un’altra sera d’inverno, in casa il televisore è acceso lì davanti, l’uomo sta cullando la bambina; sfinita, finalmente si addormenta, e allora guardare la televisione con quel piccolo peso sul ventre, che emana calore, è pura gioia”.
Più spesso il rapporto tra i due è critico, sofferto: passano giornate intere in silenzio, ad osservarsi e a soppesarsi. Il padre tende a vivere in case grandi, immerse nel verde, aperte esclusivamente ad altri bambini, tra i quali sua figlia si muove però in modo diverso,
“inserendosi nei giochi con quell’eccesso di partecipazione e quel leggero smarrimento che la rendono vittima predestinata, marchiata da un’educazione differente.”
L’esibita diversità, la proclamata mitezza e indifferenza ai miti comuni di padre e figlia li trasforma in facile bersaglio della consapevole crudeltà degli altri. L’adulto, eternamente a disagio, impone allora alla bambina continui trasferimenti di scuola, di città, di nazione e di lingua, condannandola a un’infanzia da esiliata.
La foto che li ritrae sulla copertina del volume garzantiano è emblematica: Handke mortifero, capelli lunghi, baffi spioventi, occhiali scuri a nascondere uno sguardo che si immagina disperato, mentre la bambina bionda e interrogativa osserva l’obiettivo quasi spaventata.
Il libro non dice quale destino aspetti la ragazzina, come si concluda il suo apprendistato alla vita: la narrazione si chiude sul decimo compleanno di lei, e su una inevitabile, salutare separazione dal padre. Lui rimarrà probabilmente solo, come dopo ogni grande storia d’amore finita o ridotta a schemi quotidiani: ma questo, appunto, Handke non lo racconta, e lascia che a orientarci sul suo tormentato rapporto di genitore sia un’epigrafe di Pindaro:
“Alzati, figlio, vieni alla terra ospitale, qui, dietro alla mia parola.”
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