Storia della pioggia
- Autore: Niall Williams
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2015
Lo scrittore irlandese Niall Williams si è imposto all’attenzione dei lettori nel 1997, con il suo romanzo d’esordio Four letters of love, nel quale si intravedono alcuni dei temi presenti anche nei libri successivi: un forte lirismo, i legami familiari, uno stretto rapporto con la natura. A questi si aggiunge il più tipico dei paesaggi rurali irlandesi, che fa da sfondo anche al suo ultimo Storia della pioggia, pubblicato in Italia da Neri Pozza e finalista del Man Booker Prize: uno straordinario romanzo sul potere terapeutico della scrittura, della lettura e delle storie:
“Noi siamo la nostra storia, la raccontiamo per rimanere vivi o mantenere in vita quelli che raccontiamo”.
Ne è convinta la protagonista e io narrante, Ruth Swain:
“Guardami: diciannove anni, viso affilato, gli occhi dei MacCarroll, labbra sottili, capelli opachi color nocciola, la pelle lucida degli Swain, pallida e incapace di abbronzarsi, ossuta, amante dei libri, lettrice di così tanti romanzi del diciannovesimo secolo già prima dei quindici anni da diventare boriosa, affetta da Sindrome della Ragazza Saputella, portatrice di opinioni e buoni voti, studentessa dell’inglese puro, matricola del Trinity College di Dublino. La figlia del poeta”.
A causa di una non precisata malattia del sangue che le provoca collassi e debolezza, Ruth vive confinata a letto, in mansarda, sotto la pioggia incessante, in compagnia dell’enorme collezione di libri – 3.958 volumi – che suo padre Virgil, figlio di Abraham, figlio del fu reverendo Absalom Swain di Salisbury, ha messo insieme e che ora sono accatastati nella sua stanza, dal pavimento all’angolo del lucernario della casa di Faha, Contea di Clare, sulle rive del fiume Shannon.
Leggerà tutti quei volumi prima di morire. Li leggerà tutti, perché è lì che troverà suo padre.
Ma c’è un altro modo per ritrovarlo: scrivere la storia della propria famiglia, andando a ritroso, perché è così che funziona così in Irlanda e anche in T.S. Eliot:
“Questa non è la mia storia. Io sono Ruth Swain, quella bruttina, costretta a letto, nella mansarda sotto la pioggia, al margine, il posto che spetta all’io narrante, fra questo e l’altro mondo. Questa è la storia di mio padre. La scrivo per ritrovarlo”.
Contrariamente alle sue precarie condizioni di salute, la narrazione di Ruth è incredibilmente vivace, ironica, colorita, con una forte impronta personale. Uno stile che la signora Quinty – l’insegnante di inglese che, grazie alle visite fatte a Ruth ogni martedì e giovedì dopo le lezioni all’Istituto tecnico, si sta guadagnando il Paradiso – non esita a definire “ridondante, da sfrondare”.
La ragazza, che fa leggere alla signora Quinty solo le pagine del suo libro in cui lei non figura, si è sentita dire che scrive come un uomo ed esagera o, più precisamente:
“Ha detto che sono un anacronismo, in quanto lettrice, e la mia scrittura ne risente, dando prova di una Bizzarra Ridondanza dello Stile, Troppe Parole Prese a Prestito, Digressioni Gratuite, abuso della Maiuscole”
(proprio come Emily Dickinson, che la signora Quinty non considera un buon esempio).
E’ vero, Ruth cita spesso gli autori che ha letto, ma non con affettazione, per ostentare la propria cultura: sono amici che conosce bene, che le tengono compagnia, che ama e che ritrova nei tratti degli abitanti di Faha.
Inoltre, non esita a rivolgersi direttamente al “Caro Lettore”, presentandogli i personaggi, confidandogli dettagli della vita di parenti e concittadini o accompagnandolo nella visita della sua casa.
Ecco un altro esempio della forza della scrittura:
“In giornate come queste la nostra casa è dentro il fiume. I campi sono avvolti da una bruma grigia di carta velina. Non si vede niente ma si sente il fruscio incessante dell’acqua, come se l’intera campagna si stesse squagliando. Da piccola pensavo che un giorno casa nostra sarebbe scivolata verso la foce. Forse un giorno succederà. Se la descrivo è anche per farla rimanere al suo posto, almeno per oggi”.
Fra digressioni dedicate al tempo, al paesaggio o alla vita quotidiana, la storia della famiglia di Ruth procede: quella del ramo materno, una sorta di nuova teoria dell’evoluzione, e quella del ramo paterno, che spiega l’origine non irlandese del cognome, dal bisnonno, il reverendo Absalom Swain di Salisbury, al nonno Abraham, che a Dio aveva preferito l’esercito, durante la Prima Guerra Mondiale, e al mondo aveva preferito la pesca del salmone.
E poi il padre Virgil, unico figlio maschio e grande sognatore, che alla morte dei genitori aveva deciso di imbarcarsi e di girare il mondo prima di tornare in Irlanda, cinico e disilluso, per pescare nei fiumi descritti dal padre in cerca di un segno.
E’ proprio in riva allo Shannon che un giorno la giovane e affascinante Mary MacCarroll lo troverà a scrutare le acque in silenzio, senza neppure degnarla di uno sguardo. E’ lei il “segno” che cercava e con lei aveva cominciato una nuova vita. Dopo lo strano corteggiamento e il matrimonio, l’arrivo di due gemelli, Ruth e il fratello Aeney, aveva messo fine alla trepidante attesa di tutta la parrocchia. Il fallimento, tuttavia, è sempre dietro l’angolo: l’attività agricola, l’allevamento di mucche o le coltivazioni di patate avevano portato Virgil a subire le sconfitte più umilianti, così come il vano tentativo di scrivere un libro di poesie, Storia della pioggia, che dà anche il titolo al romanzo.
Nonostante l’ironia e la leggerezza che pervade tutto il romanzo, il lettore non può fare a meno di percepire una sensazione di un’imminente tragedia che, come è facile immaginare, si consumerà proprio sul fiume, ma non metterà fine alla narrazione:
“In qualche modo, neppure tu sai come, ma sopravvivi. Perché ancora non devi morire, perché ci vuole qualcuno che racconti la storia. Sopravviviamo. Forse per soffrire di più. Forse perché la sofferenza più grande è quella del vincitore. O forse perché era questo che la sorte aveva in serbo per noi”.
Questi sono solo indizi di ciò che il Caro Lettore troverà nel romanzo di Niall Williams, un’opera difficile da descrivere perché non appartiene ad alcun genere in particolare: personaggi indimenticabili, situazioni esilaranti, amore, dolore, perdita, solitudine e tanta pioggia tessono un inno alla scrittura ed alla lettura che nel finale viene spiegato con queste parole:
“Ogni libro è la somma dei libri letti dallo scrittore. Charles Dickens era uno scrittore perché suo padre possedeva una piccola biblioteca e perché la solitudine non riguarda solo Robinson Crusoe o don Chisciotte. Ogni libro contiene in sé ogni altro libro, ed è una biblioteca o un fiume, senza fine. Nel mio libro ci sono tutti i libri letti da mio padre, così il suo spirito sopravvive e sopravvive il mio, perché esiste una comunicazione inspiegabile fra lettori e scrittori, e sebbene gli scrittori scrivano e falliscano e riscrivano e falliscano di nuovo è il fallimento che conta, andare contro corrente e compiere un balzo...”.
Un po’ come il salmone...
Essere nello stesso tempo così saggi e così ironici è cosa rara e Ruth Swain è una delle creature più brillanti, argute e disincantate che siano apparse sulla carta stampata. Circa la sua origine e il debito che sia l’io narrante sia l’autore ammettono di avere nei confronti dei libri letti – in particolare i classici, così da indurci a leggerli o a rileggerli –, non possiamo fare a meno di riportare alla memoria le parole di Virginia Woolf nel suo saggio sull’influenza letteraria dal titolo La torre pendente:
“Ogni libro discende da un altro, come ogni famiglia discende da un’altra famiglia. Alcuni discendono da Jane Austen; altri da Dickens. Come i bambini, essi somigliano ai genitori; eppure, proprio come i bambini, sono diversi dai genitori e si ribellano a loro. Forse sarà più facile capire gli scrittori viventi dando un rapido sguardo ad alcuni dei loro antenati”.
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