Storia di Noemi. Di maladolescenza si può guarire di Marianna Costa

Storia di Noemi - edizioni Leucotea Project - è un’opera di fantasia, scrive l’autrice Marianna Costa alla fine del libro. Eppure questo breve romanzo è così autentico da sembrare vita vissuta, forse perché è una storia che, purtroppo, somiglia a molte altre.
Adottare un figlio quando si è provati da una perdita indicibile, un figlio che sia giusto a due genitori di figli ‘grandicelli’, è sicuramente più difficile che scegliere un bambino appena nato. L’adozione infatti non è un atto di egoismo ma una prova di salvataggio da cui nessun bambino dovrebbe essere escluso, un’opera di soccorso spesso ambivalente. Attraverso un’adozione internazionale, viene così scelta Noemi, la quale già all’età di undici anni rischia di rimanere in istituto per sempre. Consci del fatto di accogliere una bambina con un vissuto drammatico, abbandono e sofferenza, i due genitori si ritrovano presto a gestire un’adolescente oppositiva e difficile. Come potrebbe non essere così, considerata la sua infanzia? Un fatto previsto dalla famiglia adottiva che non esita a mettersi in discussione e a chiedere aiuto alla rete sociale su cui pensava di poter fare affidamento. Ma non sarà facile. Invece di trovare un’adeguata assistenza sociale e psicologica che potesse in qualche modo supportarli, i due genitori si ritrovano loro stessi vittime di un sistema che non sembra tutelare le famiglie né il minore, quanto piuttosto incentrato al mantenimento di uno status intoccabile, attraverso una rete di assistenti sociali, psicologi e case famiglia che, ormai lontani da una gestione ‘umana’ dei casi loro sottoposti, si muovono attraverso un apparato rigido e stereotipato.
Burocrazia, diffidenza, una ‘cattiva’ psichiatria, isolamento, strutture sanitarie pubbliche e private, tutto un mondo dietro il quale si nascondono i grandi interessi economici che ruotano intorno alla gestione sociale dei minori disagiati.

Una storia complessa da recensire, così come sembra difficile da raccontare senza cadere nella retorica e nel sentimentalismo, eppure l’autrice ci riesce bene così da farci entrare a piedi pari nel suo fragile mondo di esistenze appese a un filo, tanto da soffrirne, talvolta sorridendo nel condividerne l’ironica impotenza, fino a provare la gioia per la straordinaria vittoria di Noemi e dei suoi genitori, perché come conferma il sottotitolo, “di maladolescenza si può guarire”.