Storia minima
- Autore: Vincenzo Rizzuto
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
Due sono le epigrafi che anticipano la lettura del libro di Vincenzo Rizzuto “Storia minima” (Vertigo Edizioni, Roma, 2016). La prima è tratta dallo scritto di Antonio Tabucchi “Piccoli equivoci senza importanza” (Feltrinelli, 1985) e dove lo scrittore, forse pensando alle coincidenze considerate da Sciacia come unica fonte di certezza, pone l’attenzione sul fatto che nella vita tutto sarebbe potuto essere diverso e tutto dipende dalla concatenazione di cause ed effetti. Un rebus, poi specifica, di cui vorrebbe scorgere l’intera mappatura. Di mistero parla Vincenzo Rizzuto nella seconda epigrafe da lui elaborata, ed egli, che vorrebbe poterlo governare come demiurgo, affida alla scrittura di un terragno genere popolare le sue vite parallele. Ecco già in nuce l’idea centrale di questo accattivante pamphlet: la rappresentazione della vita nei suoi momenti cruciali.
Dovuti al caso? Alla necessità? Sensati, insensati?
Lo compongono 14 capitoletti in cui i fatti narrati sono come le tessere di un mosaico. Frequenti risultano le incursioni dialettali che, oltre a dare un senso di piacevolezza sonora, assicurano ai personaggi una resa concreta; ben curato è il glossario che, situato a chiusura di questa “Storia minima”, traduce in lingua i termini utilizzati.
Il contesto è reale e ben congegnato in una dovizia di dettagli, è tipico della società patriarcale e contadina, mentre dai molteplici nuclei ideativi si staglia un delizioso sarcasmo non privo di una discreta malizia erotica.
Ampio e articolato è lo spessore temporale a partire dagli anni della Grande Guerra quando gli uomini erano costretti a lasciare i loro affetti e raggiungere il fronte e già dalla lettura del primo capitolo, le cui pagine si sviluppano con lo stile conciso del resoconto, è possibile farsi un’idea dell’asse nevralgico di tutta quanta la narrazione: l’appuntamento della vita con la morte.
L’attenzione alla Storia nazionale è costante, fa da cornice a quella quotidiana guardata con simpatia amabile e mordace. Forse si porta dentro Vincenzo Rizzuto le figure della sua giovinezza o ereditata dai cunti di generazioni che vissero gli anni della guerra d’Africa Orientale e l’avvento della democrazia. Egli ha familiarità con il bozzetto, con il linguaggio per gli aspetti della natura, con l’umorismo dove la furbizia boccaccesca è di casa, e per le occupazioni lavorative.
I comportamenti variegati nascono, soprattutto, dalla costola del bene e del male e sono descritti con l’evidenza del brio e del disagio. La simpatia verso le realtà descritte spicca nel capitolo 10 dedicato alla scuola: un microcosmo di schermaglie e di affettuosità, un luogo di elaborazione didattica attenzionata al rapporto maestro-scolari.
Tanti dunque gli ingredienti delle sue storie cellulari che da un lato fanno assaporare la tranquillità del tempo lento e dall’altro si fanno accusatrici degli strapoteri con alle spalle cricche che traggono benefici nel passaggio dal fascismo al nascente ordinamento repubblicano. Vincenzo Rizzuto si coinvolge nei suoi ricordi, mescolando racconto e riflessione; esprime giudizi; denuncia l’omertà, evidenzia connubi, componende e soprusi, rilevando gli anni del bandito Giuliano assoldato da latifondisti e dagli agrari. Il racconto, venato a volte di spietata ironia, si fa testimonianza sociale: tratteggia torbide figure di profittatori, di untori e detrattori negli anni quando scene da far west nostrano movimentavano il paese. Quella che egli fa vedere è
“una terra ormai senza regole”.
E infatti scivolano nella dolente esistenza le ultime pagine, la cui forza ha la concisione dello sguardo narrante. Disvelano, inquietano, infrangono l’idillio. L’epilogo condensa la deriva dei contenuti, il succo del narrato viene affidato alla metafora del vuoto:
“Una nuvoletta luciferina di fumo. Il fumo di una sigaretta”.
Attenti al duce. Storie minime dell'italia fascista 1927-1938.
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