Superba è la notte
- Autore: Alda Merini
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Einaudi
Alda Merini è la poetessa dell’amore, ma dell’amore che strazia la carne, sempre appaiato alla morte. Amore che rinasce come la fenice e fa comprendere la presenza di Dio nel corpo, inestinguibile. Estasi e disperazione, vitalità e fierezza, manicomio e saggezza sono compresenti nell’opera di un’artista straordinaria, che ha conquistato il pubblico dopo due decenni di buio nella sua vita altamente drammatica; ha incantato cantanti e attori, voce della verità profonda.
In lei si avverano le parole di un altro poeta misterioso e visionario, William Blake, per il quale "Se il matto insistesse nella sua follia, andrebbe incontro alla saggezza". In lei si avvera anche l’affermazione di Paracelso, che Eric Fromm ha voluto porre in esergo al suo saggio L’arte di amare:
"La maggiore conoscenza è congiunta indissolubilmente all’amore..."
Tanta ricchezza tematica permea l’opera copiosa e intensissima di Alda, di cui rileggo la silloge Superba è la notte (Einaudi, 2000, pp. 70), libro inserito nella collana prestigiosa dalla copertina bianca, con prefazione di Ambrogio Borsani.
Vale qui la pena di ricordare poche ma essenziali note biografiche, non tutte, quelle iniziali perché ogni inizio è foriero di futuro. Alda Merini nasce nel 1931 a Milano da una famiglia modesta. Il padre è un conte decaduto, colto e affettuoso, ma i suoi sono contrari a volerla poeta perché notoriamente, le dicono, la poesia non dà pane. È artista precocissima: a 15 anni viene scoperta da una sua insegnante che, stupita e ammirata, la segnala agli intellettuali "che contano", primo fra tutti Giacinto Spagnoletti, a cui in seguito fanno corona padre Turoldo, Sanguineti, Maria Luisa Spaziani, Montale, Pasolini. La sua critica canonica e pure amica è stata Maria Corti.
Episodio ridicolo: la ragazzina non viene accettata al liceo perché non supera l’esame di ammissione di italiano.
Suo mentore è pure Giorgio Manganelli, coniugato con figli, con cui l’adolescente Alda vive un’appassionata, intensa e infelice storia d’amore. L’evento la segnerà per sempre. Sposata a un uomo rozzo e brutale, fedifrago, sviluppa una depressione bipolare che degenera in modo irrefrenabile, con episodi di aggressività. Viene internata in ospedale psichiatrico.
Dunque dopo lo sfolgorante inizio con la raccolta Il ritorno di Orfeo (1953) la donna ribelle ai dettami dell’ordine e del decoro trova soltanto repressione, desolazione e oblio. Con un patrimonio alle spalle le cure sarebbero state diverse, ma pure diversi, forse, gli esiti del suo canto. Scrive:
"Piange la follia nel mio letto / assurda memoria di altri momenti."
E con lucidità estrema fa parlare un uomo:
"Un giorno trionferai / delle mie sciocche rime / e di te stesso dirai / l’ho conosciuta / e se non fosse stato per i miei denti bianchi / che l’hanno sbranata foglio per foglio / di lei non sarebbe stato nulla."
Ma perché la notte è superba? Per la sua intensità e il suo strazio. Nella notte si allentano i freni inibitori e "l’anima si getta all’avventura".
In Merini abbiamo un resoconto della tesi freudiana, secondo la quale l’arte e la religione sono sublimazione della sessualità, trasmutata, ma con una differenza essenziale: non si tratta di rinnegare e tacere gli impulsi, ma di scoprirne consapevolmente l’origine arcana, divina, che solo nella forza d’amore si rivela, dopo aver conosciuto la profondità di Eros. Per la poetessa Dio è immediatamente incarnato, sentito quando "lui", il sesso maschile, tace:
"Lui tace nel tuo grembo / come riassorbito dal sangue / che finalmente si colora di Dio / e tu preghi che taccia per sempre / per non sentirlo come un rigoglio fisso / fin dentro le pareti."
L’amore non tacerà mai e neppure Dio in lei. All’amico Ambrogio Borsani dedica una lirica che dice:
“Ambrogio, nessun carme è tanto devoto a Dio / come il carme della lussuria.”
L’amore non ha padroni, non il denaro, non il tempo, eppure abitualmente la passione viene sottomessa a questi idoli. Il successo mangia il tempo all’amore, e il denaro lo vende:
“Sono convinta, e Dio mi fulmini, / che l’amore è una cosa da nulla, / e che nella fattispecie chi ama / non produce denaro / e ruba del tempo agli altri.”
Il libro viene stilato dopo la morte di una sorella. Una prosa poetica splendida, Il grido della morte, dice la morte cosa sia, un vuoto ma lo stato di vacuità è paradossalmente "quell’ingorgo che può far presagire il passato, quel vuoto di memoria assoluto che porta al compimento di ogni parola".
È geniale concepire il compimento come "ingorgo di passato", non ricordato ma "presagito", con un ribaltamento del tempo in cui tutto è in tutto.
La poesia è memoria e profezia.
E chi sono i poeti? Coloro che portano la croce per tutti, i veri mendicanti, e sono pure la delizia:
"Siamo contadini che portano / la terra a Venere / siamo usurai pieni di croci / [...] Soli come bestie / buttati per ogni fango / senza una casa libera / né un sasso per sentimento."
Se in genere i poeti nella natura vedono riflessa la propria anima, per Alda Merini accade molto di più, natura e paesaggio sono dentro il suo corpo (“Naviglio che scorri la mia carne”) e all’inverso anche l’anima penetra la terra (“O anima che scavi la terra”).
Tanto estremismo è una forma di salvezza, è quanto viene chiesto nell’Apocalisse, lì dove Dio vomita dalla sua bocca i tiepidi e predilige i bollenti o anche i freddissimi, che forse nascondono in fondo le braci (Apocalisse 3,15-16).
Alda Merini è stata madre di 4 figli.
Riceve il premio Viareggio nel 1995 per il libro Ballate non pagate.
Muore nel 2009 a Milano, universalmente amata.
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