Il capolavoro di Giovanni Boccaccio diventa una dark comedy su Netflix con un titolo all’americana: The Decameron, disponibile dal 25 luglio sulla piattaforma streaming.
Realizzata dalla sceneggiatrice statunitense Kathleen Jordan con il supporto di Jenji Kohan (una delle autrici di Orange is The New Black), diretta da Michael Uppendahl (il creatore di American Crime Story), la serie si articola in 8 episodi ed è stata girata in Italia, tra Roma e il Castello Ruspoli nei pressi di Viterbo. Non aspettatevi, però, un pedissequo rifacimento delle novelle boccaccesce perché la serie è tutt’altro. Si ispira a Boccaccio, ma non è Boccaccio: porta sullo schermo l’astuzia e l’irriverenza dei personaggi decameroniani con episodi irresistibili che, soltanto nel finale, ci riveleranno la loro vera natura.
Si tratta di un adattamento molto libero che adegua le storie di Boccaccio alla modernità, concentrandosi in particolare su alcuni temi quali la disuguaglianza sociale, lo scontro impari tra ricchi e poveri, la libertà sessuale e la pandemia (nel Trecento si trattava della peste nera, ma non sarà difficile per gli spettatori cogliere un riferimento al recente Coronavirus).
Follia, divertimento, irriverenza non mancheranno certo in una galleria di personaggi forrtemente macchiettistici che, provando a ricalcare l’originale, ne diventano parodia. L’adattamento americano, non a caso il titolo è The Decameron, dell’italianissima opera di Boccaccio è volutamente esagerato, ma promette una sana forma di intrattenimento. La cura di costumi e scenografie è impeccabile, mentre la realizzazione è caricaturale, a tratti grottesca. Alla fine di “boccaccesco” rimane solo l’ambientazione, anzi, forse nemmeno quella, dal momento che il parallelismo con la contemporanea pandemia di Covid appare inevitabile. Tutti i personaggi si scontrano con il presagio della morte imminente e reagiscono aggrappandosi con tutte le proprie forze alla vita e agli impulsi vitali, liberandosi letteralmente di ogni inibizione e scavalcando a piè pari ogni regola sociale. Ne consegue una trama avventurosa e ricca di colpi di scena; per cui non si sa mai davvero dove la storia voglia andare a parare, ma di certo non mancano orge, orrore, lusso, cupidigia e libidine.
In questo possiamo dire che anche Boccaccio fosse stato in grado di ideare un format molto televisivo, creando di fatto la prima opera narrativa di puro intrattenimento. Nel forma letteraria episodica della novella troviamo il prototipo affabulatorio dell’arte narrativa. Possiamo considerare Boccaccio l’anticipatore del format delle serie tv? Assolutamente sì, vediamo perché nell’analisi.
Boccaccio e l’intrattenimento ante litteram
Il successo del Decameron di Boccaccio è dovuto proprio alle caratteristiche inedite dell’opera. Sin dal Proemio l’autore propone ed esplicita il suo originale impianto narrativo, ovvero la volontà di narrare “cento novelle in diece dì” attraverso l’alternarsi di dieci narratori, di cui sette donne e tre uomini. Il ruolo delle donne è una novità significativa nel Decameron: l’autore infatti decide di dedicare l’opera alle donne, in particolare alle donne che soffrono per amore. Il nuovo protagonismo femminile rappresenta un evento fondamentale, certo non trascurabile: in un’epoca in cui le donne erano subordinate al lavoro domestico, dunque a un ruolo passivo, oppure erano considerate muse ispiratrici, ecco che Boccaccio dà loro una considerazione inedita rendendole protagoniste e narratrici delle sue novelle. Dando alle donne la dignità di “personagge” le emancipa, di fatto, dallo status di subordinate e dona loro una peculiare caratterizzazione: Pampinea, Filomena, Neifile, Fiammetta, Elissa, Lauretta, Emilia, ciascuna viene a rappresentare un carattere a sé, la donna licenziosa, impenitente, passionale, coraggiosa.
La grande intuizione dell’autore del Trecento fu anche commerciale e sociologica, ovvero quella di cogliere nelle donne un nuovo pubblico di lettrici: Boccaccio aveva intuito che, con l’affermarsi della classe borghese e mercantile, stava anche cambiando il pubblico dei lettori. Per questo l’autore sceglie di dare nuovo valore alla prosa volgare, sebbene all’epoca fosse giudicata inferiore: ne aveva intuito il potenziale popolare, sapeva che poteva diventare il mezzo utile per una narrazione diffusa.
Cento novelle racchiuse in un’unica cornice narrativa a fare da sfondo; senza saperlo Boccaccio stava anticipando il format contemporaneo della serialità televisiva.
Boccaccio: dalla novella alla serialità televisiva
La novella, che rappresentava la nuova codificazione del fablieux, il racconto medievale, si sarebbe imposta come genere letterario dominante, in seguito sarebbe stata ripresa da grandi autori del Novecento quali Verga o Pirandello. A Boccaccio dobbiamo il fatto di aver intuito il potenziale narrativo della narrazione breve ed episodica, liberandola dalla marginalità letteraria cui era confinata. La novella derivava direttamente dal racconto orale, dunque discendeva dall’oralità intesa come performance del giullare o del poeta, da una recitazione estrosa e irripetibile. Tramite la forma novellistica si cercava di ancorare nella scrittura la parola che, per definizione, era astratta ed evanescente.
Per la prima volta in Italia si legava alla letteratura il concetto di performance con un risultato soprendente, l’affabulazione derivata dalla tradizione più antica, quali i racconti persiani de Le mille e una notte.
Entravano nel testo scritto tutte quelle caratteristiche tipiche dell’oralità, quali la gestualità o la mimica che donavano alla storia nuovo vigore, una più stretta aderenza realistica. Il piacere di raccontare è il motore dell’opera di Giovanni Boccaccio e anche la ragione, intrinseca, della sua immortalità. Perché oggi continuiamo a leggere il Decameron e addirittura lo convertiamo in nuove narrazioni? La risposta è semplice, ma non scontata: Boccaccio è riuscito a inserire in un’opera il principio primo di ogni narrazione, l’intrattenimento, generato dall’invenzione e il dramma, dall’affabulazione che si basa su due presupposti universali, noti sin dalla tragedia greca, eros e thanatos.
Sin dal Proemio dell’opera Boccaccio, non a caso, riprende il narratore per eccellenza, Dante:
Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato Prencipe Galeotto.
Il riferimento al “Principe Galeotto” richiama il canto di Paolo e Francesca, il V dell’Inferno, dove Dante inserisce la celebre frase: “galeotto fu il libro e chi lo scrisse”, in cui si allude alla funzione del libro come “intermediario amoroso”. Al contrario di Dante, però, Boccaccio non affida alla sua narrazione nessun significato trascendente: non è un poema epico né tantomeno divino, vuole essere pura letteratura d’evasione. L’itinerario ultraterreno di Dante diventa terreno (e volgare) in Boccaccio che mostra, senza esclusione di sorta, peccati, desideri, vendette, non pretendendo di assolvere né di salvare.
Non manca, però, una morale. L’intento dell’opera, viene detto fin dall’incipit, è consolatorio:
Umana cosa è aver compassione degli afflitti.
La letteratura di Boccaccio era come un balsamo da stendere sulle ferite dell’animo umano: voleva divertire e sollazzare le donne preda della malinconia o sofferenza amorosa, mitigare le tristezze, diventare medicina contro un male dell’anima e non del corpo. La novellistica assolveva così la funzione catartica, che è poi ciò che chiediamo oggi alle narrazioni - siano esse letterarie o seriali-televisive - divenire katharsis, purificazione spirituale, qualcosa che possa assolvere e sospendere le nostre umane miserie. Avviene, tramite la catarsi, una specie di esorcismo: la narrazione boccaccesca vuole divertire, sollazzare, favorire tramite le novelle il disincanto necessario per affrontare la vita.
Questo il punto di incontro tra Boccaccio e la serie Netflix “The Decameron”, il nodo centrale, nevralgico, alla base di ogni storia di ogni genere e tempo.
“The Decameron”: il trailer della serie Netflix
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “The Decameron”, su Netflix la serie tratta da Boccaccio: un intrattenimento ante litteram
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