Tocca l’acqua, tocca il vento
- Autore: Amos Oz
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2017
Troppo difficile, troppo spezzato, troppo vasto pur nella sua brevità, l’ultimo romanzo di Amos Oz, appena uscito per Feltrinelli, tradotto da Elena Loewenthal. Tuttavia, grande libro. Filosofia, matematica, musica, storia, natura, violenza, amore, spionaggio, solitudine, malattia, paternità, ricostruzione, decadimento, fuga, poesia, lavoro, guerra: ho elencato solo alcuni dei tanti temi con i quali il grande romanziere israeliano ha composto il suo romanzo che alterna pagine di narrativa ad altre di taglio più saggistico, soprattutto quando cita Heidegger o l’infinito matematico.
La storia raccontata parte dalla Polonia, città di M, dove vivono Elisha Pomeranz, professore al liceo, orologiaio ebreo che ha la passione per la matematica e la musica, brutto, “tozzo con due occhi minuscoli”, e Stefa, insegnante di filosofia, bella e fascinosa, abituata a scambiarsi lettere con Martin Heidegger e a lavorare con l’anziano filosofo polacco Zajczik. Quando nel 1939 i nazisti invadono la Polonia, Pomeranz scappa e si rifugia nella foresta, vivendo nascosto per lunghi mesi, in una catapecchia come un eremita, in attesa che il pericolo della deportazione nazista cessi. Invece, dopo numerose e dolorose peregrinazioni, Elisha sotto falso nome raggiungerà la Palestina, dove a guerra finita si sta organizzando il nuovo stato ebraico. Lì troverà rifugio in un Kibbutz, dove per anni alternerà la vita di pastore a quella di professore e matematico, divenendo quasi a sua insaputa la gloria del piccolo villaggio; la sua fama di matematico raggiungerà l’Europa e la stessa Russia bolscevica, dove nel frattempo è stata trascinata dai vincitori dell’Armata Rossa la bella Stefa che diviene un personaggio importante dello spionaggio sovietico, finendo per incontrare e ricevere l’ammirazione dello stesso Stalin, purché accetti senza condizioni di servire fedelmente il suo nuovo Paese.
Dopo un lungo intervallo di tempo Stefa sarà inviata proprio nel Kibbutz dove si è rifugiato e vive lavorando ai suoi coraggiosi progetti Elisha.
Questa storia di ricongiungimento dei due coniugi nella Terra Promessa, lo stato ebraico nato dalle ceneri della Shoah europea, sembra, nelle pagine di Amos Oz, il pretesto simbolico per raccontare molto di più: capitoli brevi e brevissimi ci portano dalla Polonia invasa alla rovente e desertica Palestina, da Baden Baden a Milano, da Mosca ad Atene… le storie parallele dei due coniugi così diversi, separati violentemente dalla storia, si alternano, consentendo al lettore una visione ampia degli anni della costruzione dello stato di Israele fino alla Guerra dei Sei Giorni, grazie alla prosa straordinaria dello scrittore:
“Concentrare l’attenzione sul qui e ora: Tiberiade, estate, terra d’Israele, anno Cinquantuno, di fronte una carrozzeria, le due e venti del pomeriggio (...) Alla luce del sole vivono a Tiberiade in sacco di ebrei, allo scoperto, senza vergogna, senza una seconda linea, senza bunker (...), senza necessità di via di scampo, come se tutto fosse finito una volta per tutte”.
Amos Oz scrive dunque un romanzo diverso dai suoi soliti, nel quale la nascita dello Stato ebraico, la fine della persecuzione nazista, la violenza contro il nuovo stato da parte degli arabi, si mescolano con i più insoliti personaggi: Ernest, il segretario del Kibbutz, suo figlio Yotam, che tenta la fortuna in Argentina nel ramo della carne in scatola, le sue attempate amanti, Sarah e Vera, che lo assisteranno insieme fino alla morte, una hippie americana, Audrey, in attesa della rivoluzione… Descrizioni raffinate del decadimento del corpo di Elisha che guarda se stesso invecchiare con una forma di ribrezzo, il ritratto realistico del vecchio poeta russo Gerson Kumin, cantore di Sion, che il figlio bolscevico Osip, figlio degenere, aveva fatto esiliare in una casa di riposo in Israele: insomma un grande affresco, non sempre facile da seguire, dove si incontrano tuttavia pagine che sono dei piccoli capolavori di introspezione psicologica, di grande ed universale umanità:
“Quando ti muore il padre tu lo prendi e lo porti con te per il resto della tua vita, come un embrione o un tumore maligno, e ti accompagnerà in tutte le tue ribellioni senza più arrabbiarsi o punire ma ridendo sommessamente da dentro di te, per il resto della tua vita”
grande letteratura, questa, una voce autorevole, come sempre.
Tocca l'acqua, tocca il vento
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Devo dire che questo libro non mi è piaciuto. Indubbiamente ci sono splendidi passaggi, ma l’ho trovato dispersivo, eccessivamente filosofico e non mi ha catturato nella lettura. Confesso che è stato il primo romanzo che ho letto di questo scrittore, forse mi aspettavo altro.
Splendida la presentazione di Elisabetta Bolondi.Grazie da teresa Partengo .verona