Top Secret Bari 2 dicembre 1943
- Autore: Francesco Morra
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Castelvecchi
- Anno di pubblicazione: 2014
“Dall’inferno chimico di Bari è nata la moderna chemioterapia”
Quella notte di primo inverno, a Bari, nel 1943, la morte aveva l’odore della senape. Nessuno sapeva cosa si era liberato nel porto dalla stiva della Harvey. E nessuno lo ha saputo per decenni. Solo pochi conoscevano il segreto in America e condussero una delle operazioni di depistaggio e copertura più riuscite della seconda guerra mondiale. Perchè quella notte barese avrebbe potuto cambiare il corso della storia o quanto meno aggiungere altri orrori al conflitto. Lo rivela la ricerca di uno sceneggiatore pugliese, Francesco Morra, in un libro edito nel 2014 da Castelvecchi: “Top Secret Bari 2 dicembre 1943” (Castelvecchi, 2014 - 142 pagine 17,50 euro), che approfondisce l’inchiesta già proposta in un documentario per “la Grande Storia RAI”, andato in onda il 29 agosto 2014.
Si affida a documenti finalmente desecretati la vera storia della Pearl Harbour del Mediterraneo, una vicenda sulla quale il più non è mai stato detto e non è mai stato scritto. 17 delle 40 navi stipate in porto vennero affondate dall’attacco di 105 cacciabombardieri tedeschi, scatenato alle 19,25 di sera al principale scalo logistico alleato in Adriatico, che alimentava l’offensiva dell’Ottava Armata britannica sul versante orientale della penisola. Distrutte 30 mila tonnellate di munizioni, materiali, rifornimenti. Oltre mille vittime tra il personale navale e militare e circa 200 civili, per le bombe cadute sull’abitato. Uno dei mercantili colpiti, la liberty ship USA John Harvey, conteneva 5500 tonnellate di bombe d’aereo. Ben 200 mila, da 45 chili l’una, erano cariche di iprite, un gas liquido, di estrema aggressività, ad effetto tossico e vescicante e con un caratteristico colore e odore d’aglio e mostarda.
Finché la nave bruciava, la sostanza rilasciata dagli ordigni danneggiati si disperdeva in alto, resa volatile dalle fiamme e spinta dal vento in mare aperto. Quando invece l’incendio innescò l’esplosione delle bombe ad alto potenziale, parte dell’iprite finì in mare. Più pesante dell’acqua, avrebbe dovuto posarsi sul fondo, ma mescolandosi al petrolio uscito dall’oleodotto danneggiato formò un composto vischioso, che impregnava corpi e indumenti dei marinai a galla.
Scoppi, esplosioni, navi che bruciavano, saltavano, affondavano, il mare che ardeva, colonne altissime di fiamme e di fumo, gente che annaspava e moriva in tanti modi crudeli.
“Se l’inferno è come questo, questo è l’inferno”
disse un sopravvissuto.
Nessuno dei pochi che sapevano fece parola del “gas mostarda” e i sanitari degli ospedali alleati restarono impotenti davanti a sintomi che insorgevano in forma violenta molte ore più tardi a danno anche di feriti leggeri: vomito, lacrimazione, bruciori in corpo, piaghe, vesciche piene di siero. Pazienti con prognosi insignificanti si coprivano di eritemi spaventosi e morivano senza rimedio. Giovani in preda al panico, alla ricerca spasmodica di acqua.
Non una parola sull’iprite, i cui danni vanno contenuti lavando accuratamente la cute, decongestionando i bronchi, denudando i corpi per esporre la pelle all’aria. Calò un’impenetrabile cortina di silenzio. Segretezza assoluta, ordinata dai vertici USA. Eisenhower condivideva: massima copertura. Cancellare, rimuovere, sostituire nei rapporti “ustioni da iprite” con l’insignificante “ustioni da azione del nemico”.
I tedeschi non dovevano sapere. A loro sfuggì quasi tutto di quella notte. Non furono in grado di cogliere i frutti del successo. Soprattutto, continuarono a ignorare che gli americani portavano ovunque andassero uno stock di armi chimiche da usare per rappresaglia, se le avessero impiegate per primi germanici e giapponesi. Una melassa letale creata dal miscuglio di acqua di mare, carburanti e iprite, avrebbe certamente ostacolato non poco la difficile fase dello sbarco alleato, sparsa intenzionalmente a ridosso delle spiagge della Normandia il 6 giungo 1944.
Quella terribile risorsa non venne adottata da Hitler, che pure disponeva di gas nervini. Ai suoi servizi sfuggiva però che il nemico non controllava ancora quella tecnologia e la paura di rappresaglie sulle città tedesche bloccò il fuhrer. Anche questo è rivelato dalla preziosa inchiesta di Francesco Morra, che offre un ulteriore interessante contributo informativo: sulla base del Bari Report e del lavoro delle commissioni mediche, alcuni ricercatori proseguirono gli studi farmacologici sull’azione degli azotati da iprite nei confronti delle cellule e sul loro impiego a scopo terapeutico. Dall’inferno chimico di Bari è nata la moderna chemioterapia.
Top secret Bari, 2 dicembre 1943. La vera storia della Pearl Harbor del Mediterraneo
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