Tornare in Italia
- Autore: Simone Attilio Bellezza
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2016
Come i prigionieri trentini in Russia diventarono italiani, nella Grande Guerra e subito dopo. Ovvero, come sudditi dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, partiti al fronte per battere i soldati dello zar, si ritrovarono cittadini di un Regno che in tanti avevano considerato straniero, se non nemico. “Tornare in Italia. Come i prigionieri trentini in Russia divennero italiani (1914-1920)” è una ricerca storica firmata da Simone Attilio Bellezza e pubblicata nel marzo 2016 dalle edizioni bolognesi il Mulino (pp. 236, euro 20,00), per la Fondazione Bruno Kessler, Istituto storico italo-germanico trentino, col contributo della Provincia autonoma di Trento e dell’Università del capoluogo.
L’argomento non è del tutto nuovo, ha però finora riscosso un’attenzione superficiale. Se n’è parlato attratti dalla curiosità di una piega storica decisamente singolare più che dall’interesse in sé delle vicende. Ha rari precedenti perciò un lavoro come quello del prof. Simone Attilio Bellezza, studioso di storia dell’Europa orientale e in particolare dell’Ucraina, che collabora con l’Ateneo trentino e del Piemonte Orientale. Il tema ha stentato a trovare spazio nella ricostruzione delle esperienze degli italiani nella guerra ed è stato visto come un episodio suggestivo, ma incapace di aggiungere alcunché alla storia nazionale.
Il saggio ha una sua unicità, guardando al destino non dei soli prigionieri, che pure furono tantissimi, ma di tutti i combattenti trentini arruolati nell’esercito asburgico. L’autore ha potuto disporre di materiali di prima mano, avendo a disposizione testi diaristici inediti, nella sua qualità di direttore dell’Archivio della scrittura popolare trentina.
Trentini? Austriaci? Italiani? Sembra inadeguato porsi il quesito della identità prevalente di quella comunità territoriale, domandarsi cioè se quegli uomini e le loro famiglie si consideravano più o meno appartenenti ad una compagine etnica statale. Per gli storici, soprattutto trentini, è chiaro che nella percezione di una cittadinanza, prima e al posto di quella nazionale veniva il senso di appartenenza alla comunità strettamente locale, valligiana, paesana.
Anche questa conclusione, tuttavia, non va presa come definitiva, perché proprio l’enorme stress storico al quale i protagonisti furono loro malgrado sottoposti rese il concetto di nazionalità più liquido e mutevole di quanto si possa pensare in un primo momento.
L’identità territoriale trentina fu il punto di partenza di arrivi diversi. Gli scritti dei prigionieri trentini in Russia offrono in effetti molte riflessioni sulle loro ispirazioni identitarie. I sentimenti furono sottoposti a tante sollecitazioni, esercitate dagli stessi compagni di sventura e dagli Stati belligeranti. Il cuore della ricerca è proprio l’orientamento nazionale di questi uomini.
Certo, per quanto riguarda l’esperienza di prigionia, le sorti dei singoli e quelle di gruppo diventano assorbenti per la quasi totalità dei casi, soprattutto per quanto riguarda i trentini sul fronte orientale, visti i grandissimi numeri. Furono oltre due milioni gli austroungarici in mano all’esercito zarista, una enormità rispetto ai 150.000 tedeschi e agli 80.000-90.000 turchi dietro i reticolati in terra russa. E si rischia di perdere il filo se si aggiungono altre considerazioni, pur necessarie, sulle condizioni di vita in cattività, sugli aiuti internazionali e lo sfruttamento dei prigionieri come forza lavoro, al posto degli uomini inviati al fronte. Va pure messo in conto il diverso trattamento dei prigionieri in base alla nazionalità: gli zaristi le tentarono tutte per incentivare i movimenti indipendentisti contro Vienna. Poi giocarono un ruolo gli effetti della rivoluzione russa, l’influenza dell’ideologia bolscevica e, al contrario, l’arruolamento più o meno coercitivo nelle armate “bianche” anticomuniste.
Quanto all’incidenza della questione “italiana”, Simone Attilio Bellezza distingue in maniera chiara una minoranza di patrioti italiani fautori dell’irredentismo dalla maggioranza dei trentini, che pur definendosi italiani non si sentivano sudditi dei Savoia. Il docente parla di una
“‘polisemia’ dell’aggettivo ‘italiano’, negli scritti dei prigionieri trentini, per i quali, di volta in volta, il termine si può riferire a se stessi, a quelli che parlano italiano o anche agli altri, addirittura ai nemici”.
Considerata questa polisemia, ha preferito chiamarli “italofoni”, visto che il semplice fatto di conservare lingua e cultura italiane non significava automaticamente un’adesione soggettiva alla nostra Nazione.
Altra intelligente considerazione dell’autore sono i percorsi:
“una anabasi e tre catabasi”
sottolinea. La prima è un’esperienza da tutti, l’andata dai territori trentini alla prigionia in Russia. Le catabasi sono le modalità differenziate di ritorno. Vi fu chi venne spinto verso l’Italia dalla collaborazione italiana con la Russia, chi vi si diresse a conflitto in corso, passando per Arcangelo e l’Artico e chi dopo la Rivoluzione ha dovuto attraversare Siberia ed Estremo Oriente.
Una quarta catabasi ha riguardato chi cercò di tornare da solo attraverso l’Europa orientale e l’Austria.
Tornare in Italia. Come i prigionieri trentini in Russia divennero italiani (1914-1920)
Amazon.it: 11,90 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Tornare in Italia
Lascia il tuo commento