Totò Riina
- Autore: Angelo Vecchio
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
Angelo Vecchio, giornalista e scrittore non è nuovo a saggi sul fenomeno mafioso avendo analizzato in altre sue opere sia l’interezza del fenomeno che i maggiori protagonisti. In “Totò Riina”, un lavoro preciso e incalzante che si legge quasi come un noir, attingendo dai fatti di cronaca e dagli atti giudiziari focalizza adesso la sua attenzione in particolare su uno dei due picciotti di Luciano Liggio, facente parte del così detto clan dei Corleonesi che soppiantò il precedente vertice dell’associazione mafiosa. Si tratta di Salvatore Riina, detto “Totò u’ curtu” per la sua altezza di poco superiore al metro e cinquanta, che si distinse per la ferocia dei suoi crimini, il più eclatante dei quali fu la strage di Capaci. Personalmente si occupò dell’organizzazione effettuando i sopralluoghi preliminari assicurandosi che tutto procedesse come stabilito.
Angelo Vecchio racconta tutta l’ ascesa a “Capo di capi” con una dettagliata descrizione di uomini, fatti e circostanze, definendo la sua opera un “romanzo di cronista” con le caratteristiche narrative di prosa narrata ma basata su fatti concreti, documentati; fatti che fotografano la realtà.
Si narra della sua infanzia, delle influenze familiari del boss figlio di boss, il cui figlio maggiore segue pure le orme del padre, distruggendo le lapidi di Falcone e Borsellino poste sulla piazza di Corleone.
“Se é figghiu di gatto surciaru, surci avi a pighiari”
è un modo di dire siciliano per quei figli che seguono l’esempio del padre. Gradualmente avviene da parte del Riina la conquista del potere, dopo una feroce lotta tra le cosche per l’aggiudicazione degli appalti. "Di appalto si muore" titolavano i giornali dell’epoca essendo questo, insieme alla droga e alle estorsioni, il maggiore affare di Cosa Nostra.
Con dovizia di particolari in “Totò Riina” si tratta dei riti di affiliazione, la Santina bagnata con il sangue del neofita e poi bruciata sino ad essere ridotta in cenere che è il momento cruciale della cerimonia che lega l’associato sino alla morte. Ma le vicende riportate riguardano pure il tesoro di don Totò, le smisurate disponibilità finanziarie e la progressiva identificazione dell’organizzazione criminale con il Potere. Nei militanti, assoldati tra le classi più misere, si manifestano istinti animaleschi perché è la indigenza che imbestialisce la natura umana ed i comportamenti, specie quando si versa in stato di necessità.
“Se vivi tra i lupi impara a ululare”
si suole dire quando il singolo individuo si uniforma ai comportamenti di un gruppo. Sono descritte le varie fasi del massacro degli avversari, la struttura del vertice della organizzazione, la commissione, le gerarchie.
Di rilievo è l’intervista con l’eminente storico Francesco Renda cui si chiedono gli elementi distintivi tra vecchia e nuova Mafia. Da mafia rurale con l’incremento della ricchezza legata ora nuovi fattori economici, l’organizzazione criminale diviene una impresa in grande stile. Ma Francesco Renda conclude l’intervista con una provocatoria asserzione riferita alla didattica antimafia e all’educazione alla legalità da dovere indirizzare non solo agli studenti ma anche ai politici.
Non viene chiaramente sottaciuta l’opera fondamentale di Pio La Torre, le misure di sequestro dei beni, il carcere duro e i misteri che ancora rimangono su molti delitti. Le “bugiarderie” di Buscetta così come le ha definite Totò Riina ed i provvedimenti dei giudici “comunisti” come lo stesso li appellava, hanno prodotto un insopportabile isolamento dei detenuti che continuavano prima ad impartire ordini anche se detenuti con una sommersa rete di collegamenti.
Angelo Vecchio - Toto' Riina - La Caduta Dei Corleonesi - Ed. Antares 1997
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