Nutrimenti, nella Collana Nautilus, riedita “Il filibustiere” (2016, pp. 227, euro 17,00, titolo originale The Rover), l’ultimo romanzo scritto (1920-1921) e pubblicato in vita dal grande autore polacco, naturalizzato britannico, Joseph Conrad (Berdyčiv, 3 dicembre 1857 - Bishopsbourne, 3 agosto 1924).
The Rover uscì per la prima volta nel 1923 sulla rivista statunitense The Pictorial Review e, quasi in contemporanea, in volume in Inghilterra e negli USA.
Lo scrittore Alberto Cavanna ha tradotto e illustrato il testo, entrando alla perfezione nella complessa psicologia del protagonista di questo romanzo breve, redatto da Joseph Conrad mentre si stava dedicando alla stesura di “Suspense”, un libro storico sull’epopea napoleonica destinato a rimanere incompiuto.
“The Rover”, il pirata, un uomo “dalle gesta oscure ma dal grande cuore”.
Abbiamo intervistato Alberto Cavanna, nato ad Albisola Superiore nel 1961. Ha lavorato come operaio, impiegato e dirigente in importanti cantieri navali. È autore dei romanzi “Bacicio do Tin” (Mursia, 2003, secondo classificato al premio Bancarella), “Da bosco e da riviera” (Rizzoli, 2008) e “L’uomo che non contava i giorni” (Mondadori, 2012).
Ha pubblicato inoltre le raccolte di racconti “Storie di navi, di viaggi e di relitti” (Mursia, 2001) e “A piccoli colpi di remo” (Arte Navale, 2011, finalista al Premio Bancarella), oltre ai saggi “Nelson e Noi” (Mursia, 2007) e “L’ultimo viaggio dell’imperatore. Napoleone tra Waterloo e Sant’Elena” (Mondadori, 2014), “Il dolore del mare” (Nutrimenti, 2015), “La nave delle anime perdute” (Cairo Editore, 2016).
- “Era stato un filibustiere su mari lontani ed era cresciuto distante ed estraneo alla sua patria”. Chi è veramente il capocannoniere Jean Peyrol, definito un vagabondo, un avventuriero, un girovago che Lei ha paragonato a un predone vichingo e qual è il contesto storico nel quale si muove?
Peyrol è un Ulisse che torna sotto altre spoglie alla Escampobar - Itaca, dove trova l’anziana Catherine - Penelope, un patetico nemico interno, Scevola - Proci e Arlette, un tormentato Telemaco eternamente alla ricerca di una perduta figura paterna. Ma è anche un Conrad - Peyrol, un Conrad al suo ‘ultimo ritorno’… Un ritorno ai temi che amava, a degno epitaffio di una vita sacrificata alla assoluta libertà intellettuale e alla esplorazione dell’abisso umano, uno sforzo compensato sono nell’appagante respiro delle immensità del mare.
- “Alla via così!”. Nella Postfazione del volume intitolata L’ultimo ritorno, scrive che Conrad per la redazione del libro trasse ispirazione diretta da alcune lettere dell’ammiraglio inglese Horatio Nelson, il cui epistolario per la gente di mare, “a maggior ragione se di cultura britannica, costituiva una tappa di lettura quasi obbligata”. Ce ne vuole parlare?
Nelson era un personaggio venerato dai marinai britannici e le sue lettere oggetto di attente letture. Quando ho trovato la citazione, nell’ultimo capitolo, di una lettera durante l’incontro tra il celebre contrammiraglio inglese e il capitano Vincent dell’Amelia, ho pensato che Conrad si fosse ispirato a una lettera vera. Nel romanzo Nelson dice:
“Questo è un lavoro sfibrante… mi sta uccidendo… Ho appena finito una lettera per dire in patria che io ho appena il fiato per trascinarmi da un giorno all’altro… fino a che magari una cannonata del nemico metterà fine a tutto”.
Non sono poi parole molto differenti da quelle che, infatti, Nelson dettò al suo segretario:
“…la mia salute é recentemente stata appena così così, e spero che la flotta francese mi dia l’opportunità di chiudere la mia carriera, dal momento che sono fermamente convinto di non poter sopravvivere a un altro inverno in missione…”.
Quella lettera citata in “The Rover” dunque esiste ed è stata scritta sul Victory il 18 giugno 1804, il giorno prima di far vela con l’intera flotta, ossia il 19, giorno in cui Conrad colloca il colloquio di Nelson con il capitano Vincent, quando, appunto, gli dice di averla appena scritta. E questo permette anche di dare date precise alla vicenda umana del protagonista.
- “Sleep after toyle, port after stormie seas, Ease after warre, death after life, does greatly please...” (“Il sonno dopo la fatica, un porto dopo mari tempestosi, la quiete dopo la guerra, la morte dopo la vita, quale grande soddisfazione...”). Non è un caso che l’epigrafe del Poeta Laureato Edmund Spenser in apertura del romanzo, sia poi quella scritta sulla lapide di Conrad che si trova presso il cimitero di Canterbury?
Io credo che forse Conrad avrebbe voluto fossero le parole che Peyrol sente prima di morire. Un ordine in inglese, ruggito nel pieno dell’azione tra vele che fileggiano, bozzelli che sbattono e il vento che fischia nelle manovre: “Bene alla via così!”.
- È un’impresa ardua tradurre Conrad, unanimemente riconosciuto tra i maggiori scrittori di ogni tempo?
Conrad è sfidante da tradurre. L’importante è non dimenticare mai che lui faceva un uso chirurgico della lingua inglese, perché non era la sua lingua madre (era polacco) e che scrive quasi cento anni fa… Quindi bisogna cercare di rendere, più che il senso strettamente letterale delle frasi, le emozioni che lui voleva suscitare.
- È un narratore legato per vocazione al mare, si considera uno spirito affine a quello del creatore di “Cuore di tenebra”, autore di più di trenta romanzi e numerose raccolte di racconti dove i temi principali sono il mare, il viaggio, il dolore e l’inquietudine umana?
Mi sono sempre definito, usando come Conrad una lingua non mia, uno shipwriter and talebuilder, giocando con il termine shipwright and boatbuilder. Un “narratore di navi e costruttore di storie”. Se era quello che anche lui voleva essere, allora possiamo dire che gli sono in scia e riesco ad andare bene, quando non mi toglie il vento.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La traduzione de “Il filibustiere” di Joseph Conrad: intervista ad Alberto Cavanna
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