Tre giorni e una vita di Pierre Lemaitre

“Tre giorni e una vita” (Mondadori, 2016) condensa nel titolo l’essenza del romanzo di Pierre Lemaitre, un libro dai segnali discordanti, respingente e coinvolgente al tempo stesso.

Nel Natale del 1999, Antoine, un ragazzino solitario di 12 anni, vive il suo primo triste contatto con la morte: il cane del vicino, dal nome epico, Ulisse appunto, suo compagno di giochi e suo unico confidente, investito da un auto, viene finito, agonizzante, dal padrone, Roger Desmedt.
Quali capacità può avere un poco più che bambino di capire che quello che, all’apparenza, sembrerebbe un atto crudele, potrebbe essere invece un atto di mera pietà? Come catalogano i suoi occhi innocenti quella scena, quell’epilogo?
Questo episodio scatena una serie di conseguenze, che pur concentrate in pochi giorni nel 1999, avranno ripercussioni su tutta la vita di Antoine!

Gli ingredienti per tenere il lettore in ansia ci sono tutti: l’empatia iniziale per un bambino, figlio di genitori separati, che vive ai margini, con la madre, in una scuola dove poco riesce a integrarsi e dove il padre, figura maschile di riferimento, a stento ascolta i suoi desideri e raramente si fa sentire e ancor meno vedere.
La sua solitudine è palpabile, te la senti addosso, ti fa venire voglia di scappare dalla piccola realtà di Beauval in cui vive.
Troppo delle atmosfere descritte ha l’eco di alcuni libri di Lansdale, per cui, all’inizio, il lettore fa fatica a immedesimarsi nel racconto, a provare simpatia per qualcuno dei personaggi, ma piano piano che la trama si dipana, cogli un piano più alto, cominci a capire come una serie di circostanze fortuite possono guidare la vita di ognuno, senza lasciare spazio a programmi o a progetti.
A quel punto tutto trova un significato, la prosa di Pierre Lemaitre coinvolge ed avvolge, e a fine romanzo quel sapore amaro, di leggero fastidio del principio, senti che è sparito e ha fatto spazio alla "rivelazione"! Assolutamente consigliato!