Treno di panna
- Autore: Andrea De Carlo
- Categoria: Narrativa Italiana
Forse non molti sanno che l’esordio di Andrea De Carlo nel lontano 1981 è stato benedetto nientemeno che da Italo Calvino, nelle vesti di redattore per Einaudi.
Quello che, secondo Calvino, rende Treno di panna particolare se confrontato con gli altri romanzi giovanili già usciti è una concezione di giovinezza lontana dal ribellismo o dalla trasgressione a tutti i costi, e anche dal ripiegamento nelle problematiche tipicamente adolescenziali, temi che già a quest’altezza cronologica possono risultare stereotipati.
Il tipo di giovanilismo di De Carlo, superata la fase ghettizzante e frustrata, si traduce piuttosto in un rapporto alla pari con l’universo dell’efficienza e della precisione che da american way of life sta diventando globale. In questo senso è perfettamente collocabile all’interno del decennio del reaganismo, poiché ne anticipa la mentalità, voltando definitivamente le spalle alla politica dei movimenti studenteschi degli anni Settanta.
L’itinerario del protagonista, Giovanni Maimeri, giovane immigrato negli Stati Uniti, segue tutte le tappe, cui corrispondono altrettanti cambiamenti di casa, della sua ascesa professionale e sociale, da uomo-sandwich una tantum per un negozio di generi ecologici a cameriere in un ristorante italiano, fino a diventare insegnante di italiano dapprima in una mediocre scuola di lingue di Santa Monica e infine in quella prestigiosa di Beverly Hills, la cui clientela appartenente al mondo del cinema si rivela essere il punto di contatto con la Los Angeles più ambita e fastosa. La ricerca del successo, da cui il protagonista è allo stesso tempo nauseato e sedotto, rappresenta lo scopo di vita che accomuna i personaggi incontrati da Giovanni nella "città delle grandi occasioni".
La peculiarità del romanzo di De Carlo risiede indubbiamente nel particolare uso stilistico che viene fatto della poetica del vedere. Una poetica per molti versi simile a quella della École du Regard diretta all’estraniamento del lettore, come da molti osservato, ma che se ne distanzia nel momento in cui la scientificità della descrizione di De Carlo produce un effetto finale di coinvolgimento nel lettore, grazie alla dovizia di particolari che tentano di riprodurre una realtà più vera del vero.
La mia vita quotidiana mi pareva una sorta di filtro opalino, attraverso cui osservare una catena infinità di possibilità inespresse. Vedevo decine di immagini di me stesso a Los Angeles, in ruoli diversi ma comunque dall’altra parte delle siepi e cancelletti che andavo a guardare ogni giorno. Ogni tanto queste immagini si sovrapponevano a immagini della mia vita reale [...]. In questi momenti mi colpiva come pensiero curioso l’idea di vivere in parallelo alle case di Bel Air e alle attività che contenevano; ruotando in una sfera vicina e trasparente ma del tutto impermeabile. Fluttuavo nella mia sfera, con la convinzione di fondo che prima o poi si sarebbe creato un punto di contatto, e aperte improvvise faglie di comunicazione.
La voce narrante si fa sguardo - non a caso la vera professione del protagonista è la fotografia - e lascia filtrare alla stregua di un occhio-obbiettivo gli elementi della situazione come referti oggettivi. Attraverso le immagini, nei loro dettagli e scomposizioni, Giovanni è in grado di ricostruire la realtà intorno a sé e conseguentemente di formare la propria immagine in quel contesto: in lui avviene in qualche modo un processo di evoluzione, se sia di crescita o regressione il giudizio dell’autore resta sospeso.
Treno di panna
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