Trentatré
- Autore: Mirya
- Anno di pubblicazione: 2014
“È proprio questo che voglio, che le persone possano crederci. È vero, ho capito che la realtà è amara e cinica, ma non solo. Ho capito che viviamo in un ecosistema d’asini, ma non solo. E io voglio dare voce a quel ’ma non solo’. È giusto che ci siano storie che ricalcano la vita quotidiana, con le sue tristezze e le sue brutture, ma è giusto anche che ci siano storie che tentano di dare un senso diverso a quella vita quotidiana, a quelle tristezze e a quelle brutture. Magari è il senso che sta cercando D. Di sicuro è il senso che sto cercando io."
Dio scende sulla terra per trentatré giorni invitato da suo figlio Gesù e con l’obbligo di non usare i suoi poteri. Passati i quali, siamo nel 2012 unico riferimento spaziotemporale, avverrà la fine del mondo, l’Apocalisse.
Sulla terra Dio però incontra Grace, giovane scrittrice in cerca di una casa editrice che le pubblichi il suo primo romanzo, dolce, bella, ricca e angelica ma incontra anche Michele, giovane proprietario di un pub “Fortuna” in fallimento, burbero, cupo senza più speranze e diabolico. Grace e Michele, i due protagonisti di questa storia, a prima vista sembrano ricalcare un po’ i personaggi di “Di Carne e di Carta”, opera prima dell’autrice in questione, ma è solo la prima impressione, continuando a leggere “Trentatrè” di Myria (Mirya, 2014) s’impara a conoscerli meglio e ad apprezzarne il carattere.
Mirya ha scelto con attenzione i nomi dei suoi personaggi e dei luoghi dove si sviluppa la trama, ogni nome ha un significato, infatti, ben preciso e rappresenta perfettamente il personaggio in un ossimoro continuo che li contrappone, come il piccolo Giò e il vecchio Giò, l’uno ingenuo l’altro esperto; o ancora Lily e Juliette, l’una ubbidiente e l’altra ribelle; o ancora Amir e la madre di Michele, l’uno tenero l’altra dura.
Trentatré giorni, dicevamo, in cui un Dio tragicamente e ironicamente umanizzato, un’invenzione audace ma per niente blasfema, - come ci tiene a precisare in una dichiarazione l’autrice stessa avvisandoci che questo suo ultimo romanzo avrebbe potuto turbare chi considera la fede, una cosa seria - s’incontra e si scontra con il mondo da lui stesso creato secoli e secoli prima. Così mentre da un lato questo vecchio signore descritto come un barbone, canuto, vestito con un semplice saio francescano e un paio di vecchi sandali, combatte con il suo corpo, con i suoi bisogni e le sue necessità, imparando a camminare, a mangiare e persino a controllare i suoi sfinteri, dall’altro D. divide e condivide “pillole” di saggezza, conoscenza, amore, trasformando questo romanzo in una favola.
L’arcobaleno di sentimenti qui rappresentato emoziona il lettore e va dal rosso fuoco dell’amore e passione tra Grace e Michele al rosso tenue dell’amore filiale tra Grace e il padre e tra Michele e la sorella; dal blu intenso dell’amicizia tra tutti personaggi all’azzurro chiaro dell’amicizia tra il vecchio Giò e Michele e poi c’è il bianco luminoso dell’amore assoluto di D. nei confronti delle sue creature.
Mirya però non è mai scontata nei suoi romanzi, lo avevamo già visto in “Di Carne e di Carta”, e quindi quello che può sembrare un romance inaspettatamente cambia rotta perché si sa la vita non è né bella né brutta, né positiva né negativa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Trentatré
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Grazie mille, è davvero una recensione bellissima e gentilissima; il passaggio sui colori è persino poetico e mi ha sbalordito.
Grazie davvero!