Con Turista da banane o le domeniche di Tahiti (titolo originale Touriste de bananes ou Les dimanches de Tahiti), terminato a Porquerolles nel 1936 dopo un viaggio intorno al mondo durato cinque mesi e apparso a stampa due anni dopo, Georges Simenon (Liegi 1903-Losanna 1989) mette la parola fine al cupo destino della potente famiglia di armatori già al centro del Testamento Donadieu.
Quest’estate il romanzo torna in libreria per Adelphi, con la traduzione di Laura Frausin Guarino.
Turista da banane: trama del romanzo
“Erano ormai trentasette giorni che l’Île-de-Ré aveva lasciato il porto di Marsiglia. Alla partenza si gelava, e uscendo da Gibilterra tutti i passeggeri, tranne due, si erano sentiti male”.
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Dopo essersi sorbiti per settimane i cavalloni dell’Atlantico, i passeggeri si erano dimenati fino a perdere il fiato nei locali da ballo della Guadalupa, a Panama le signore avevano acquistato profumi che lì costavano meno, e durante la traversata del canale il pranzo era stato servito sul ponte, come vuole la tradizione.
La nave si stava avvicinando agli antipodi, in lontananza si erano intraviste le Galápagos, e qualcuno aveva fotografato pellicani e pesci volanti, l’Île-de-Ré era già all’altro capo del mondo a tagliare pazientemente, con un ronzio di macchine, la superficie troppo piatta e abbagliante del Pacifico, che costringeva i passeggeri a portare gli occhiali scuri.
Non si era più in Francia ma non si era neanche giunti a destinazione, a Tahiti: mancavano tre giorni. In quella domenica in mezzo all’Oceano, greve, sonnacchiosa, il giovane Oscar Donadieu, ultimo erede di un potente clan di armatori della Rochelle, aveva dovuto rinunciare alla solita partita a scacchi con il missionario, e si era messo lungo disteso a prua, il grande corpo direttamente a contatto con le lamiere del ponte, là dove la tenda ogni tanto fremeva al passaggio di una corrente d’aria.
Oscar non dormiva e neppure pensava. Il venticinquenne voleva solo dimenticare le proprie origini, alla morte di suo padre il clan Donadieu si era disgregato e l’azienda era andata a rotoli in seguito a un grande scandalo. Vivere solo a Tahiti, rischiando di fare la fine di un “turista da banane”, espressione dispregiativa per caratterizzare quelle persone che nell’isola più grande della Polinesia francese si erano persi tra sbronze e notti squallide, signorine facili e affari poco puliti. L’ultimo dei Donadieu era un povero sprovveduto, amante della natura che non aveva ancora compreso che, migliaia e migliaia di chilometri lontano dalla terra natia, da La Rochelle, importante porto francese nella regione di Poitou-Charentes affacciato sull’Oceano Atlantico, dal proprio destino non si poteva scappare.
“Trova che sia vita, quella che fa qui?”
Barca a vela in mare aperto (1920) del pittore belga Léon Spilliaert è la suggestiva copertina di questo fosco e drammatico romanzo di Simenon, ambientato in una atmosfera esotica apparentemente seducente e allettante, che nasconde però le miserie umane legate al dio denaro.
Desolante come gli europei abbiano esportato corruzione, malaffare e avidità in questo posto meraviglioso e vergine, arrivando a contagiare inesorabilmente anche la popolazione indigena. La comunità europea a Tahiti, dalla mano predatoria e dall’anima colonialista, magnificamente descritta da un Simenon qui ai massimi vertici del suo genio letterario, non avrebbe reso le cose facili a Oscar Donadieu, introverso sognatore.
“Donadieu si sentiva disorientato come mai lo era stato in tutta la sua vita. Letteralmente spaesato. E lo scenario non assomigliava a niente che avesse mai visto o immaginato prima di quel momento”.
Recensione del libro
Turista da banane
di Georges Simenon
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Turista da banane: torna in libreria il romanzo di Georges Simenon
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