Ubaldo Riva. Alpino poeta avvocato
- Autore: Liana De Luca
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Il sottotitolo riproduce l’epigrafe sepolcrale che Ubaldo Riva dettò per sé e da cinquanta anni appare sulla sua tomba. Nello stesso ordine, alpino poeta avvocato, in altrettali sezioni Liana De Luca tratta di questa straordinaria figura culturale bergamasca, presentandone e commentandone una scelta di opere e accompagnandola a note biografiche.
Liana De Luca è notoriamente valente poeta ed ella, parlando d’un altro poeta che, per di più, frequentò a lungo e la cui figura umana e culturale ama profondamente, ne coglie particolarmente bene l’essenza. La poesia e la prosa del Riva furono debitrici in primo luogo del suo essere alpino e combattente: leggiamo ch’egli definisce, in Scarponate, la “divisa di alpino […] come veste sacra e trasumanante”, un’uniforme indossata negli alti paesaggi fulgenti in cui la guerra si svolse per le truppe montane italiane e austro-tedesche, in un atroce contrasto fra bellezza naturale e tragedia d’uccisi e mutilati, scontro distillato artisticamente dallo scrittore: il suo libro Scarponate risultò ammesso alla triade dei finalisti del neonato Premio Bagutta (1927), un “…libro fra i più fortunati di Ubaldo riva”, scrive la De Luca, che
“è sì il diario di guerra di un alpino della prima Guerra Mondiale, ma un diario alla Riva, dove le grandi vicende del conflitto fanno da sfondo al curriculum personale”.
Tre volte decorato, il poeta è ferito gravemente in combattimento, rischia di morire, ma il dramma non gli toglie la determinazione patriottica. Semmai, guarito lui e convalescente il mondo, da poco terminato il conflitto, lo sturba la burocrazia militare che lo mantiene in armi inutilmente ancor a lungo, lontano dai suoi studi e dalla professione, anche se non dalla letteratura. Congedato, pubblica versi cominciando dai cinque lunghi testi raccolti in La canzone de l’Alpino:
“Scarpon ferrati cervello fino… / Occhi dal guardo damantino / puri di cielo e ghiacciaio: / garretti d’acciaio, / piede che non falla, / lento, dominatore / […]"
– m’è venuta istintiva in mente, per quel ritmo in versi brevi e le rime sparse, una lirica di guerra di Luciano Folgore, Sveglia sentinella, sicuramente nate entrambe autonomamente, ma tanto affini al mio orecchio –.
Seguono nel tempo opere non più catalizzate dalla guerra, come il ricordo familiare Mio nonno, o riaccese dal ricordo militare come Il guardaroba del guerriero, sempre nell’amore per la montagna; registra la De Luca che il Riva riunisce “in un tutto unico la natura, la patria, l’arma, la letteratura”; “…fu per molti anni vice presidente del G.I.S.M. (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna – Accademia di Arte e Cultura Alpina), secondo un suo principio che lo portava a non accettare mai la presidenza di un sodalizio”. In polemica col futurismo, il poeta pubblicò con Gobetti la raccolta Passatismi, non tali appieno però secondo il suo stesso commento. Scrive la De Luca che la
“poesia di Ubaldo Riva deve essere presa com’è, perché deve essere amata: e può amarla solo chi, avendo conosciuto di persona il poeta, non dubita mai della sua sincerità e della sua volontà di dire nel modo con cui vuole dirlo”.
Il poeta non poté vedere stampata la sua ultima silloge, A ¾ di Secolo, composta, come il titolo suggerisce, avendo compiuto i settantacinque anni d’età; postumi vennero pubblicati anche i Sette saggi, sotto il titolo ideato da lui stesso prima di morire. Quanto al Riva avvocato, va da sé che la professione era stata spunto per la sua penna, e non c’è da meravigliarsene dato che
“Riva trascorse tutta la sua esistenza nei tribunali, come racconta egli stesso in Bergamascherie prime e seconde”.
Nell’opera Due saggi egli pubblicò una “disamina intitolata Trittico italiano sulle figure di Verdi-Carducci-S. Francesco”, mentre nell’altra sezione, “Tre processi nelle ‘Ultime lettere di Jacopo Ortis’”, trattò de “il processo politico, il processo alla vita, il processo a Teresa. Sempre documentando la sua analisi con brani del Jacopo Ortis, Riva sostiene che il suicidio del protagonista è un trasfert dagli omicidi che non poteva commettere”. L’uomo Riva “non era religioso, almeno dichiaratamente […] ma c’era in lui una spiritualità di timbro cristiano, basata sulla carità, sulla comprensione, lealtà, onestà” in cui ben “s’innestava il rimpianto per la madre morta quando era ancora bambino”; profonda religiosità emana da questa sua lirica:
“Non credere, Signore, / ch’io tema l’al di là. / Di là io salirò / i tuoi pascoli di stelle / e rèquie, Signore, / finalmente avrò: / rèquie dalla vita / che mi è ansia e dolore / povero peccatore”.
A postilla del saggio possiamo leggere la dilettevole poesia “Memory” della stessa Liana De Luca.
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