Nel breve incontro che Simonetta Agnello Hornby ha animato nei giorni scorsi, la scrittrice, oltre ad aver firmato copie del suo ultimo libro, “Caffè amaro”, ha parlato della genesi delle sue opere letterarie che prendono sovente spunto dalla sua vita privata. L’incontro è stato per Agnello Hornby l’occasione per parlare della sua Sicilia facendo un raffronto tra il luogo in cui vive ora e quella terra che aveva lasciato anni or sono. Molti i contrasti che appaiono insanabili, nonostante gli anni trascorsi dalla scrittrice in Inghilterra, dove ha esercitato la professione di avvocato dedicandosi alle istanze dei più deboli.
Pur non vivendo in Sicilia, terra che ora frequenta solo occasionalmente per brevi periodi, ha avuto modo di constatare in questi saltuari soggiorni come risulti intollerabile vedere la sporcizia diffusa per le strade in contrasto con i lussuosi tram che sfrecciano nella città, migliori di quelli di Milano.
Tornando al piano letterario Simonetta Agnello Hornby ha spiegato come i titoli e le copertine dei suoi libri siano una scelta esclusiva dell’editore che d’altra parte fa il suo lavoro e decide in base a quelle che ritiene siano più accattivanti. Alcune volte ha avuto in mente un titolo, proprio nel caso del suo ultimo libro, “Caffè amaro”, ma l’editore non concordava con l’autrice. Si è parlato del grande successo delle sue opere, ad iniziare dalla “Mennulara”, quella più popolare, per proseguire con “Il male si deve raccontare”, “Via XX settembre” e “Il veleno dell’oleandro”.
Alcuni di questi libri hanno avuto un tale successo da essere tradotti anche all’estero ma Agnello Hornby considera che, dopo il lavoro del traduttore, quel testo non è più (solo) una sua opera; questi fa il suo lavoro, bene o male che sia, per incarico dell’editore, ma quello che viene fuori è un’altra opera, non più quella dell’autore. Si conosce l’“Iliade” di Monti non di Omero. Alcune espressioni siciliane, alcune frasi sono spesso intraducibili anche in italiano e nella traduzione si muta sovente il senso di tutto il contesto ma a questo proposito la scrittrice sostiene che sarebbe triste limitarsi ad esplorare solamente la propria cultura, la propria lingua.
Anche leggendo la grande letteratura russa, come “Guerra e Pace”, sicuramente vi è qualcosa che non si comprende ma non per questo ci si priva della lettura di un così grande testo. Altrimenti si resterebbe a parlarci sempre tra di noi, a guardarci l’uno con l’altro mentre bisogna accettare che il mondo è pieno di tante lingue, di tante culture e non possiamo capirci sempre alla perfezione. Non siamo unici, bisogna comprendere quello che possiamo. Vedi, ad esempio, le donne giapponesi che si stringono i piedi sino a deformarli ma considerando bellissimo il risultato. Bisogna capire che siamo parte del mondo e non possiamo comprenderci totalmente con quelli che consideriamo diversissimo. Vi sono i popoli che mangiano vermi o ostriche che anche da noi, peraltro, molti non mangiano.
Simonetta Agnello Hornby ha chiaramente affermato che non sono di suo gusto le cosiddette traduzioni e non ama, appunto, farsi tradurre; forse per questo una prossima sua opera sarà in lingua inglese.
La lingua riflette un mondo, una cultura, un vissuto, ed è disdicevole riscontrare come bambini e anziani siano oggigiorno, affidati a badanti straniere che parlano un’altra lingua. La scrittrice ha riferito come lei stessa abbia assistito la suocera inglese, anche se non vi era un buon rapporto ma si sentiva in dovere di farlo. Non comprendeva nulla del sentire e del vissuto dell’anziana signora ed è questo quello che accade oggi, quando si lasciano i nostri affetti a persone diverse, straniere ed estranee.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un caffé con Simonetta Agnello Hornby
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