Un’eredità di avorio e ambra
- Autore: Edmund de Waal
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
- Anno di pubblicazione: 2011
Dopo il grande successo ottenuto, nell’arco di poco più di un anno in Gran Bretagna e negli USA, esce nel nostro Paese con Bollati Boringhieri Un’eredità di avorio e ambra, il caso letterario dell’anno. L’Autore, Edmund de Waal - olandese per parte di padre, nato a Nottingham nel 1964, residente nella capitale britannica, dove vive e lavora - critico, storico dell’arte e docente di ceramica presso l’Università di Westminster, è uno dei più famosi ceramisti inglesi, nonché curatore del Victoria & Albert Museum di Londra.
Egli stesso ci racconta che nel 1991, a 27 anni, in occasione di un soggiorno di studio a Tokio finanziato da una fondazione giapponese, ritrovò il prozio Ignace (per tutti Iggie), Ephrussi, (fratello della nonna paterna Elisabeth), colà residente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Abile uomo d’affari, Iggie è persona elegante, raffinata, piena di umanità: il custode delle memorie di famiglia, pur immune da polverose nostalgie. Nella confortevole casa dello zio, il giovane Edmund ammira la splendida collezione di 264 netsuke che Iggie aveva ricevuto tanti anni prima dalla sorella maggiore Elisabeth. I netsuke sono minuscole sculture giapponesi, la cui origine viene fatta risalire per lo più al XV° secolo, delle dimensioni di una scatola di fiammiferi, in avorio o legno talora decorate con ambra, raffiguranti animali, piante, figure umane, divinità. Esse sono forate da due buchi attraverso i quali passava un cordoncino in seta ed erano destinate a fissare alla cintura del kimono (privo di tasche) la scatoletta delle medicine o per il tabacco. La storia di questi piccoli oggetti è strettamente legata a quella della famiglia d’origine dell’Autore: gli Ephrussi, Ebrei originari di Odessa; in origine commercianti di cereali, poi ricchi banchieri conosciuti in tutta Europa. In occasione degli incontri con Iggie, Edmund entra in un universo fino ad allora a lui poco conosciuto. La vita nella Vienna fin du siècle e primi decenni del Novecento nel fastoso Palazzo di famiglia sulla Ringstraße, non lontano da Bergasse, dove risiedevano Sigmund Freud e Theodor Herzl. La Parigi degli artisti nel medesimo periodo, dove figura di spicco è Charles Ephrussi, mecenate, critico d’arte e amico, nonché ispiratore e committente (più o meno diretto) di illustri pittori, quali Renoir, Degas, o di scrittori come Proust, al quale ispirerà il personaggio di Swann. Sarà proprio Charles, il primo proprietario della collezione di 264 netsuke, a donarla nel 1899 al cugino “viennese” Viktor in occasione delle nozze di quest’ultimo con l’affascinante Emmy Schey von Koromla (i bisnonni di Edmund). Le tragiche vicende della prima metà del Novecento, come il trionfale ingresso a Vienna di Adolf Hitler nel marzo 1938, le persecuzioni, i saccheggi e i furti nelle case degli Ebrei. Complici sia una certa fortuna, sia, in primo luogo, una coraggiosa persona non imparentata con la famiglia (che Edmund si rammarica di non aver potuto incontrare), le statuette sfuggono alle mani rapaci dei razziatori. Sopravvissute alle vicende belliche, esse ritornano al loro Paese di origine grazie a Iggie. La narrazione suggestiva di questi fa assumere alle vicende familiari un sapore nuovo ed inaspettato. Lo zio muore nel 1994, dopo aver lasciato in eredità la sua preziosa collezione al nostro Autore. Le statuette esercitano su Edmund un irresistibile fascino: con calma prende in mano queste “piccole, spietate esplosioni di esattezza”, com’egli le chiama, le soppesa, una per una, ne rivive la storia, i misteriosi percorsi. Nasce quindi in lui l’esigenza di scoprire nel profondo
“quale rapporto ha legato [ad esempio] questo oggetto in legno ai luoghi che ha attraversato… Voglio entrare in ogni stanza in cui questo oggetto ha vissuto, scoprire quali quadri erano appesi alle pareti… Voglio sapere di quali vicende è stato testimone”.
Il titolo originale dell’opera è, non a caso, La lepre con gli occhi d’ambra. Un’eredità nascosta (assai più adatto e suggestivo di quello adottato nell’edizione italiana). L’Autore compie un affascinante viaggio attraverso il tempo e lo spazio che lo porterà, autentico flaneur, a Parigi, Vienna, Kövecses (Cecoslovacchia), Tokio (dove si reca più volte anche dopo la morte del prozio). Infine Odessa, dove iniziò l’avventura della famiglia -originaria di Berdychiv, uno shtetl dell’Ucraina del nord-. De Waal ripercorre dunque non solo la storia dei netsuke, passati di mano in mano, da una città all’altra, ma anche quella della sua eccezionale famiglia d’origine. Visita luoghi, incontra persone, fa rivivere istanti lontani, compulsa cataloghi, interpella studiosi di diverse discipline, entra in contatto costante, puntuale, ma anche affettuoso, con oggetti e ricordi di casa.
Un Diario di Viaggio che è pure, come capita quando lo si vive con autenticità, un Viaggio dentro Se Stessi, il proprio Passato e Presente. E Futuro. Ne è nato un racconto avvincente, un’opera incantevole che ha catturato un pubblico sempre più numeroso, non a caso insignita di due prestigiosi Premi letterari, il Costa Biography e il New Writer of the Year al Galaxi Book Award. Specie nei ritratti, a cominciare da quelli degli antenati, la prosa di Edmund è incisiva, ma lieve, quasi tattile, come si addice ad un eccellente ceramista, attento all’estetica, all’ambientazione degli oggetti, visti come creature vive. La prosa di Edmund si fa però asciutta mentre scandisce ciò che accadde, in un arco di tempo incredibilmente breve, allorché i nazisti occuparono Vienna e subito devastarono il Palazzo Ephrussi. E poi il dramma del dopoguerra. L’incontro, in una Vienna triste, tra Elisabeth e il misterioso “salvatore delle statuette” col passaggio delle stesse da una mano all’altra. L’incanto del tempo nel susseguirsi delle generazioni, il ritornare all’origine seguendo un moto ellittico, a spirale. Oggi, come sappiamo, i netsuke si trovano a casa de Waal, in uno stabile di epoca edoardiana, affacciato sui platani di una amena via di Londra. E i tre giovanissimi figli di Edmund e Susan (Sue), ai quali l’opera è dedicata, possono scoprire e toccare la loro magia, come fecero, cento anni prima, i ragazzi Ephrussi.
Forse la figura più intrigante dell’opera è proprio… l’Autore. In lui ti colpiscono non solo la piena identificazione con lo strazio della Shoah, sempre problematica per chi non è ebreo di nascita, ma pure la gioia artigiana per il lavoro ben fatto, l’intelligente precisione, il suo incantarsi per il “particolare” che non perde certo di vista il “tutto”. Comprendi ciò quando lo vedi accarezzare quei piccoli oggetti con viva partecipazione. Scrive:
“Le eredità non sono mai banali. Che cosa viene ricordato e cosa dimenticato, nel passaggio?”
Talora egli si sofferma su certi silenzi dei familiari, su zone recondite il cui accesso è perfino a lui interdetto, su quel “non avvicinatevi. Sono cose personali”. Questi congiunti, che avevano vissuto esperienze tremende e che desiderano raccontarle a chi amano, a volte tacciono. E annota:
“Ricordo le esitazioni nel parlare di Iggie ormai vecchio….esitazioni che si trasformavano in silenzi… che segnavano i luoghi della perdita”.
Ciò significa che non si deve abusare della memoria (questa parola ormai trita), divenuta in breve un automatico lasciapassare per celebrare riti vuoti e dar vita a mistificazioni o peggio; per farla divenire Memoria è necessario rispettare le zone buie di ciò che “non può essere rivelato”. Condivido peraltro il pensiero di de Waal secondo il quale apparteniamo alla generazione cui è proibito lasciar perdere o “bruciare le cose”, come il nostro Autore scrive. Un nodo difficile da sciogliere, ma possiamo -con umiltà- provarci.
E infine LA DOMANDA: Edmund, figlio di un sacerdote della Chiesa anglicana, (già cappellano dell’Università di Nottingham, dove pure sono nati lo stesso Edmund e il fratello minore Thomas) e nipote, per parte di madre, di un parroco, come vive le proprie radici ebraiche, in apparenza -solo in apparenza!- remote? Questo libro ne è l’eloquente risposta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un’eredità di avorio e ambra
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bruttissimo libro cinico cattiva lettura