Un giorno di gioia
- Autore: Aurelio Picca
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2014
Jean, orfano di padre, racconta la sua storia di bambino vissuto negli anni Cinquanta. Si evince il periodo in cui la vicenda è ambientata sia per la descrizione degli ambienti e delle mode di quegli anni, sia perché il protagonista narra della famiglia di origine della propria madre che lui solitamente chiama per nome, Tilda, e dei tanti fratelli dati alla luce dalla nonna Normanna durante il periodo del regime fascista.
Jean cresce attorniato da zii e zie, talvolta uniti, talaltra acerrimi nemici, e di alcuni fa un ritratto preciso, ben delineato nell’intimo. Il protagonista stringe un rapporto d’affetto anche con Alberti, colui che prenderà il posto del padre. Tutto ciò ha luogo in un’atmosfera imperlata di eleganza e di profumi, fatta di viaggi soprattutto in Costa Azzurra. Jean mostra fin da piccolo un amore assoluto e incondizionato per Tilda, la donna che gli ha dato la vita, di bell’aspetto, dall’incarnato color perla e dai capelli come l’onice. Per lui, ancor piccino, è una madre ma anche quasi una dea che, però, rivelerà tante debolezze.
“Sì, mamma rubava. Ma non sapevo dire se fosse una cosa brutta oppure no. Qualsiasi decisione o gesto facesse, per me era mia madre e m’incantava.”
Man mano che si procede nella lettura ci si accorge che l’infanzia del protagonista è stata tutt’altro che dorata: è fatta di vere “torture”, anche di abusi e malvagità verso un bambino che, cresciuto, ricorda così il proprio passato:
“Vorrei preparare un cocktail di profumi, prendere il Napoleon, l’Arpége, il Joy, Miss Dior, Vent Vert, Shalimar, le Dix, Coco Mademoiselle e metterli tutti in un calice: mischiare e poi gettare il tutto su mia madre, la casa, gli zii, i gioielli, le amanti, le amanti, papà Alberti. Inzuppati di profumo resterebbero attoniti nell’attesa di trasformarsi in silhouette pronte ad essere trafitte. Così sarei dispensato dal ricordare... invece ho deciso di ricordare e scrivere.”
Le vicende incalzano quando i due fratelli Tilda e Attila si ritrovano a ereditare una grande proprietà, un castello che la madre ha lasciato loro quali figli prediletti. Mantenerlo diviene una follia che acuisce i più bassi istinti dei protagonisti. Tilda passa da una gioielleria all’altra e lì lascia sempre traccia, portando via molti preziosi. Un’esperienza traumatica per il protagonista che si ritrova a esser spettatore di scene di cui un bambino non dovrebbe saper nulla e poi, di lì a poco, tra le braccia della mamma è costretto a giurarle amore immenso come se nulla fosse successo.
Vivono in quell’ambiente personaggi di dubbia moralità tra cui Rachele, la governante, e Lesny, l’autista cui vengono affidati anche loschi incarichi. Ognuno ruota attorno a Tilda e a Jean che dalla madre viene trattato quasi come un bamboccio, truccato, col viso coperto di cipria, le labbra e le unghie rosse. E’ una spersonalizzazione di quel bambino che vive poco o nulla della sua infanzia, che sogna di giocare con le cuginette ma che, invece, con i coetanei trascorre ben poco tempo. Quella realtà non gli piace e lui spesso vorrebbe ridipingerla, colorarla con una delle tante tonalità di smalti di cui fa uso la mamma e che lui conosce molto più di ogni giocattolo. Le rapine da parte di Tilda e di altri complici si susseguono ma Jean, che pian piano cresce, non s’abitua a quella vita anzi comincia ad aprire gli occhi.
“Dovrei dire che mia madre era una delinquente e basta. Dovrei dirlo anche se Tilda è stata la ragazza che mi ha partorito a ventidue anni la donna che per prima mi ha parlato d’amore, quella che quando si brindava m’insegnava a dire: - Ai ricchi dell’anima! - Dovrei dirlo anche perché in questa storia ho deciso di non far sconti a nessuno, tantomeno a lei.”
Intanto Jean cresce ma non c’è chi si prende cura di lui. Ora abita nell’antico castello insieme alla madre che continua le sue attività malavitose. Le uniche vere amicizie sono Giuliano de Mei, soprannominato Noè, da tempo guardiano della dimora che si avvicina al ragazzo ormai adolescente e finalmente gli insegna a leggere e Teresa, una giovane più o meno della sua età, che gli fa battere il cuore. Ma le malvagità continuano; il libro racconta un veloce susseguirsi di fatti che cambiano la vita di Jean. Essa muterà radicalmente a causa di eventi creati da alcuni personaggi e che rendono l’io narrante vittima di difficili situazioni.
Stando alla quasi totale narrazione ci si aspetterebbe un finale ancor più triste ma non è così e un destino migliore fa pronunciare al protagonista questa frase con cui si chiude anche il libro stesso:
“Oggi sono un uomo libero, provo una felicità grande. Come se la sua vita l’avessi vissuta in un giorno di gioia.”
"Un giorno di gioia" (Bompiani, 2014) è un romanzo assai insolito, ma narrato con efficace linguaggio, si legge piuttosto velocemente ma, in realtà, fa molto riflettere.
Aurelio Picca affronta, attraverso una narrazione surreale, molte tematiche prima fra tutte la vita stessa vista attraverso gli occhi di un bambino cui tanto avrebbe dovuto essere risparmiato. Chiudendo l’ultima pagina, gli occhi d’ogni piccolo ci appariranno diversi e forse noi adulti ci sforzeremo, in un modo o nell’altro, d’essere migliori.
Un giorno di gioia
Amazon.it: 7,00 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un giorno di gioia
Lascia il tuo commento