Un mese con Montalbano
- Autore: Andrea Camilleri
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
Della leggenda su Androclo e il leone se ne occupò Seneca nel "De beneficiis". Poi Aulo Gellio ne fece una deliziosa narrazione nell’opera "Notti attiche". Ad essa si rifà ora Camilleri che, introducendovi delle varianti, la riporta in “Quello che contò Aulo Gellio”, componimento inserito nell’opera "Un mese con Montalbano" (Milano, Mondadori 1998). Si tratta di una raccolta di trenta bei racconti di cui alcuni già pubblicati su periodici. Anche se ci sono pochi delitti, il panorama dei personaggi e delle situazioni è composito; al solito il coinvolgimento è totale. Montalbano aveva letto il “fatterello” su un giornale di economia. Poi egli lo pone in relazione ad una vicenda capitatagli. All’ora di pranzo in una trattoria, si accorge che non c’è nessuno, fatta eccezione del proprietario. Nell’attesa di essere servito, entrano come il vento due uomini che hanno la faccia coperta da passamontagna e le pistole in mano. L’intento è chiaro: vogliono ammazzarlo. Ad un certo momento, uno di essi, il “colosso”, dà un colpo di matterello al compagno che sta per sparare e subito dopo simula un conflitto a fuoco. Rivolgendosi al commissario, dice “Ci siamo capiti?”. “Perfettamente”, egli risponde senza minimamente scomporsi. Quale la relazione tra l’uomo che gli ha salvato la vita e il leone di cui parla Aulo Gellio? Le domande non gli danno tregua fino a quando ne scorge la soluzione. Così Montalbano, che non ama soltanto la buona cucina o il fascino della femminilità, appare un po’ diverso da quello proposto dalla fiction televisiva. E’ un uomo colto che legge e si documenta con la medesima passione mostrata nelle indagini. Non c’è da stupirsene, perché è la lettura a far cogliere nel testo indizi da problematizzare e verificare allo scopo di elaborare interpretazioni.
Tante le analogie tra il lettore critico e il detective. E ce ne rendiamo conto leggendo "Miracoli a Trieste", dove l’incipit è dato da una interrogativo intrigante: Si può essere sbirri di nascita, avere nel sangue l’istinto della caccia, come lo chiama Dashiell Hammet, e contemporaneamente coltivare buone, talvolta raffinate letture? Camilleri ci tiene qui a presentare Montalbano nella veste dello studioso che conosce lo scrittore Antonio Pizzuto e addirittura s’indispone quando l’interlocutore gli parla senza alcuna cognizione di causa. Mirabile esempio questi due scritti di come l’indagine poliziesca, lungi dal risolversi a tecnica, debba essere sorretta da una consapevolezza critica, aperta a una visione ampia della vita. Nuovi dettagli arricchiscono il ritratto di Montalbano nel racconto “Cinquanta paia di scarpe chiodate”, dove egli, appena trentenne è in servizio come vicecommissario a Villalta. Su incarico del questore coopera con il brigadiere Billè per far luce su un delitto, dimostrando l’acutezza che affinerà nel corso della carriera. A suggestionarlo è il fascino che esercita in lui il presunto colpevole, non ritenuto però tale dal popolo. Billè gli dice:
“Come lei, dottore, ha voluto venire di persona a conoscere Borruso per conoscere meglio l’ambiente dove vive, così anche qui in paese lo riteniamo tutti innocente perché lo conosciamo”.
Un saggio re il pastore Borruso che amministra giustizia e risolve questioni! L’attrazione di Camilleri per un patrimonio folklorico dalla dimensione mitologica è forte: C’è già in questo personaggio emblematico la sigla anticipatrice del capolavoro "Il re di girgenti"?
Un mese con Montalbano
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Nella mia attività di insegnante sono sempre alla ricerca di racconti che possano piacere a ragazzi del biennio delle superiori. Con Cammilleri non si sbaglia mai. e questo libro è una raccolta di gioielli dove poter fare esercitazioni sulla costruzione del racconto. oltre a ciò, può ben stare a fianco delle troppo pesanti ( e sovente noiose) antologie scolastiche.
Buona la recensione.