Un uomo da marciapiede
- Autore: Leo Herlihy
- Casa editrice: BEAT
Uno storpio e un cowboy, come dire due tipi che più antitetici di così si muore. Un ladro di mezza tacca e un candidato stallone, uno smagato per stato di necessità e l’altro sempliciotto senza se e senza ma. Al cinema avevano le facce da sconfitti del sogno americano di Dustin Hoffman e di John Voight, e mi pare abbastanza per desumere, a questo punto, che è di “Un uomo da marciapiede” che andrò a scrivere tra breve. Del romanzo di James Leo Herlihy in special modo, che non ha niente da invidiare al must cinematografico. Sulla scorta emotiva del film, avevo letto “Un uomo da marciapiede” (ripubblicato ora dalle edizioni Beat) da ragazzo, troppo in anticipo sull’età della ragione perché potessi comprenderne appieno la forza narrativa che fa il paio con la “poetica” di un sotto-testo in cui i sogni muoiono e non soltanto all’alba. Un capolavoro della letteratura americana del secondo Novecento, punto e basta. Prendiamo i dialoghi, per esempio. Non è che bisogna per forza aspettare quelli di Raymond Carver per gridare al miracolo. James Leo Herlihy sembra venuto al mondo apposta per scrivere dialoghi. I suoi dialoghi "scoppiettano" senza frizioni, con la stessa naturalezza dei popcorn nella padella. Sono dialoghi incisivi, realistici, di quelli che puoi leggere e rileggere per farti un’idea molto più che esauriente della differenza che passa tra un vero scrittore e uno che ci prova soltanto. Poi ci sarebbe da accennare alla trama che non fa una grinza - le avventure del provinciale Joe Buck che insegue il miraggio di diventare gigolò nella Grande Mela, finché non incontra “Rico” Rizzo (meglio noto come Zozzo) che, se non proprio la vita, gli cambia quanto meno le priorità -.
Una trama corredata da un microcosmo di solitudini come nemmeno in un romanzo esistenzialista, tra signore e signori con ben più di qualche vizietto, evangelisti di strada spacciati per papponi, dropout, artistoidi, alberghi vicoli e ragazzi di vita che lasciano tutti alquanto a desiderare, in altre parole, il contraltare della grande illusione a stelle a strisce: un macrocosmo disperato e disperante (ma non senza ironia) da cui ci si salva gratis - ma non è sempre detto - ancorandosi all’amicizia, prima ancora che all’amore. L’affresco impietoso fin quasi alla tenerezza di un’umanità grottesca che Herlihy rende memorabile in forza di una scrittura potentissima, che non si dimentica.
Un uomo da marciapiede
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