Una raggiante Catania
- Autore: Domenico Trischitta
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2008
A battaglia finita sono stato a casa del “capellone con i baffi folti” che - secondo il modus operandi del corpo di polizia al quale apparteneva - menava le mani prima ancora di chiederti i documenti. In qualche cassetto, inoltre, tra le foto-ricordo della mia infanzia catanese, deve essercene una che ritrae il bimbetto vestito da Arlecchino che non molti anni dopo sarebbe saltato per aria
“in un’esplosione vicino l’Etna”.
Si scherzava con le mani, col fuoco e con gli esplosivi nella Catania a mano armata degli anni Settanta, e non sempre poteva dirti bene. So anche di cosa scrive Domenico Trischitta quando scrive del “campetto di calcio in creta” del quartiere S. Leone, e delle guerriglie urbane (da ragazzi della via Pal con il valore aggiunto di pistole lancia-razzi e a gommini) che si scatenavano nei quartieri popolari di Catania per la “Festa dei morti” (l’attuale Halloween, sic!).
Domenico Trischitta mi sopravanza in età di quattro anni, l’evo di formazione è dunque lo stesso, la città natale pure. Ho recuperato il suo “Una raggiante Catania” (Excelsior 1881, 2008) e ho finito di leggerlo in un lampo: un romanzo autobiografico che è anche un romanzo generazionale che è anche la storia degli anni ferro & fuoco di una città. Il titolo è dunque icastico, con implicite venature dolci-amare, mutuato da un brano di Carmen Consoli, una delle infinite presenze musicali di questa articolata partitura per parole & suggestioni che è il romanzo di Trischitta.
Un romanzo a cui davvero non manca niente per imparentarsi con la letteratura degna di tal nome, compresi le donne, i cavalier, l’arme e gli amori, per dirla in maniera ariostesca.
Sullo sfondo rosso lava (e nero-sciara) di una Catania-mondo (in primis di San Berillo, il suo quartiere-mondo a sua volta) dove le esecuzioni di mafia avvengono in un salone da barbiere, come nel più classico degli spaghetti-western. Oppure allo stadio, come in un disaster movie, il giorno della partita decisiva per la promozione in seria A della squadra di calcio. È il 1983 e in questo caso la mafia non c’entra:
“non è il solito regolamento di conti, a uccidere questa volta è un uomo che vive sotto la curva sud. Esasperato perché il suo orto, ogni domenica, diventa pisciatoio per i tifosi che transitano di lì, imbraccia una doppietta e scarica una serie di colpi che prendono in pieno volto un ignaro tifoso che si trova in alto, in tribuna” (p. 134).
Sulle gradazioni cangianti della scrittura di Domenico Triscritta ho avuto già modo di esprimermi in altre circostanze (vedi segnalazioni dei romanzi “Glam city” e “Le lunghe notti”). Giusto per farvi sapere che non esageravo, faccio mio quanto afferma Tommaso Labranca nella postfazione a questo libro (Una raggiante scrittura, p. 187):
“Non è facile scrivere un romanzo che voglia andare al di là della semplice narrazione di una storia meccanica. Domenico Trischitta ci è riuscito. È stato in grado di scrivere una storia che da corale diventa a solo e lo ha fatto con una dote rara nella letteratura più recente.: l’attenzione allo stile (...) Domenico Trischitta non si limita a mettere una parola dopo l’altra. Lui scrive davvero”.
Mi pare inessenziale aggiungere altro. Soltanto che quanto avete appena letto di Labranca è da prendere sul serio. Parola per parola.
Una raggiante Catania
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