Nei primi giorni di novembre, come da tradizione, ci si reca al cimitero per omaggiare i cari defunti. Novembre è il mese dei morti, dei cipressi mossi dal vento, dei cieli bianchi e dei crisantemi freschi da posare sulle tombe; i fiori che resistono al freddo impellente dell’inverno e mantengono una fioritura rigogliosa e sgargiante persino a basse temperature. Novembre è foschia e nebbia al nord, quella pioggerellina sottile e penetrante che sfuma i contorni e dona alle cose un’atmosfera astratta, rarefatta, in bilico tra visibile e invisibile. Ed ecco che i cimiteri si trasformano in strani giardini: si celebrano i morti in una festa di fiori e preghiere, così che il vuoto incolmabile dell’assenza si trasformi in presenza.
Questa peculiare caratteristica di novembre, la sua vestizione metaforica, è stata descritta in una filastrocca di Giovanni Battisti Marini (1902-1980), intitolata Uno strano giardino. La poesia di Marini è adatta per essere letta nelle scuole, perché permette di spiegare il mistero della morte anche ai più piccoli, ma è fonte di consolazione e riflessione anche per gli adulti.
Scopriamone testo , analisi e commento.
“Uno strano giardino” di Giovanni Battisti Marini: testo
Novembre, mese dei morti
quanta tristezza tu porti!
Ma i cimiteri grandi e piccini
diventan giardini:
e a sera, pei tanti lumini
lontani e vicini,
sembrano cieli stellati
di regni incantati.
“Uno strano giardino” di Giovanni Battisti Marini: analisi e commento
In questa poesia in rima Giovanni Battisti Marini oppone alla tipica narrazione cupa e fosca di novembre, che per Pascoli è L’estate fredda dei morti, una visione fiabesca. I silenzi impenetrabili e le atmosfere cupe del cimitero si trasfigurano, attraverso una metafora, in un giardino: sembra quasi un “giardino segreto”, di certo è un luogo diverso dagli altri. L’autore lo descrive come un regno incantato illuminato da lumini (in chiave simbolica i ceri votivi per i morti diventano luci, che rischiarano) e invaso da fiori colorati (anche i crisantemi, i fiori dei morti, svolgono una funzione simbolica, sono un omaggio, un dono).
Lo “strano giardino” descritto da Marini vuole dirci qualcosa: che, in fondo, la morte non è niente e morte e vita possono convivere in un’unica dimensione come in questo regno del silenzio e dell’ascolto. Nel finale il cimitero viene descritto come un cielo capovolto, sembra essere un riflesso delle stelle che brillano lassù.
Il riferimento alle stelle non è casuale: quando guardiamo le stelle luccicare nel cielo notturno in realtà stiamo guardando degli oggetti morti, ma noi li vediamo brillare luminosi e dunque non pensiamo alla morte. Le stelle sono il perfetto simbolo di una presenza-assenza, dunque l’immagine più perfetta per spiegare la funzione dei cimiteri che qui il poeta opportunamente descrive come “cieli stellati”, illuminati appunto da una luce retrospettiva. Nel tempo in cui la luce delle stelle impiega ad arrivare sino a noi, sulla Terra, le stelle sono già morte, si sono spente e quella che noi contempliamo ammirati non è che luce riflessa.
Nella sua poesia-filastrocca Marini ci invita a fare a nostra e a custodire quella “luce riflessa”, a trasformare il ricordo in una forma di presenza. I cimiteri non sono che degli “strani giardini”, nei loro fiori, nei loro colori si custodisce la nostalgia che è anche un moto propulsore del rinnovamento della vita.
L’assenza può risplendere, ci dice il poeta, come una “visitazione” inattesa. Alla tristezza di novembre, mese dei morti, dunque si contrappone un sentimento di gratitudine: recarsi in questi “strani giardini”, lasciare un fiore duraturo capace di sopravvivere all’inverno, diventa un modo per dire “grazie”, per trasformare il rimpianto in un atto di riconoscenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Uno strano giardino”, la poesia che celebra novembre come mese dei morti
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